AGRICOLA ESTROVERSA, IN VALLE PELIGNA VINI PULITI E SOSTENIBILI DALLO SFORZO DI DUE GIOVANI CORAGGIOSI

PRATOLA PELIGNA – Nell’area storicamente più vocata dell’Abruzzo, dove sono custodite le origini della viticoltura regionale, hanno recuperato alcuni antichi vitigni oramai in abbandono e iniziato la vinificazione nella cantina sociale di Pratola Peligna (L’Aquila), un “mostro” dal potenziale inespresso sconosciuto ai più. Antonio Santini e Gianluca Cianfaglione, 37 e 39 anni, sono abituati a investire nell’Abruzzo, il primo molisano si è innamorato di questa terra che ha iniziato a frequentare dopo gli studi di enologia a Perugia, il secondo non l’ha mai lasciata e non si accontenta delle sue avventure di successo come la Cantina di Biffi nella sua Sulmona. Li ha aiutati la pandemia, anche perché senza tutto quel tempo libero – confessa Antonio – nessuno avrebbe mai avuto la possibilità di ripulire dai rovi quei due ettari vitati sul pianoro tra Raiano e Pratola, divisi in due appezzamenti che oggi stanno regalando prodotti straordinari.
L’azienda, oltre al vitigno di ben 35 anni preso in affitto da un anziano del posto che aveva smesso di coltivarlo, si compone di altri due ettari a Montepulciano di proprietà di Gianluca. Neanche a dirlo, la vendemmia è manuale. Le uve macerano per una settimana in acciaio, la fermentazione è spontanea con lieviti autoctoni in tini aperti, l’affinamento è di 6 mesi. Imbottigliato senza filtrazioni né chiarifiche.
Tre sole referenze, che incarnano l’essenza di un territorio storicamente espressione di Montepulciano e Trebbiano: un rosso, un bianco e un rosato, che solo per ragioni di disciplinare non riportano in etichetta le denominazioni del vitigno e quella di Cerasuolo d’Abruzzo. Anzi, vi si legge “Vino declassato spontaneamente”, che con un gioco di parole vuole anche richiamare la fermentazione spontanea, metodo di lavorazione che conferisce dei sentori primari “che il panel che certifica le doc non è in grado di riconoscere”, spiega Antonio, consulente enologo di diverse aziende abruzzesi, più e meno note, neanche troppo rammaricato dal fatto che “molti vini mi sono stati ‘bocciati’ per ‘olfatto non conforme’, come era riportato nella pec”.
“Non usando nessun additivo o coadiuvante chimico – comunque previsto dalla legge – ma solo una minima quantità di anidride solforosa”, spiega Antonio, “ho bisogno che il vino sia in assenza di ossigeno quindi è normale che si abbiano delle note iniziali di zolfo, che mi permettono di dare longevità al vino”.
Al rosso, al bianco e al rosato, dalla prossima vendemmia si aggiungeranno un Trebbiano macerato e un rosato in tonneau di rovere francese ispirato ai racconti degli anziani: “Le persone del posto – racconta Antonio – tra cui il proprietario della vigna che abbiamo in affitto, parlano di vino rosso e vino nero: il rosso per loro è il cerasuolo e il nero è il Montepulciano. Un concetto profondo che mi sembra appartenere solo alla Valle Peligna, quella di andare a strutturare il cerasuolo era una cosa molto comune in passato”.
Parole da cui traspare una particolare devozione per la viticoltura, ma senza orpelli, neppure linguistici: “Vini naturali oramai è un termine troppo inflazionato, vittima di un’autentica moda – riflette Antonio – in cui esistono gli imbottigliatori e chi produce nel garage prodotti con mille difetti, che vanno a mettere in ombra chi lavora per bene. Noi preferiamo chiamarlo vino agricolo, frutto di lavoro agricolo”.
Ed in questo solco si inserisce il più ambizioso progetto di recupero del patrimonio vinicolo, che in Valle Peligna è enorme dopo quello che appare a tutti gli effetti come un abbandono delle campagne. “Da quanto abbiamo iniziato e si è sparsa la voce, abbiamo ricevuto molte proposte da anziani interessati ad affidarci il proprio vigneto che non lavorano più e a cui le nuove generazioni non sembrano interessate”, racconta Antonio, che con Gianluca sogna anche di rilanciare la cantina di Pratola, magari trasformandola nella prima cooperativa abruzzese di vini naturali.
“Il potenziale c’è tutto, considerando che ha una capienza di 18mila quintali a fronte degli appena 3mila che se ne lavorano oggi”, spiega, svelando uno dei risvolti della medaglia più sottaciuti e, forse, drammatici: “Solo sulla Valle Peligna c’è un potenziale di circa 10mila quintali d’uva, che molti produttori conferiscono a grandi cantine con tutti i rischi del caso, come ad esempio è accaduto quest’anno quando all’ultimo momento le uve non sono state ritirate”.
La scintilla verso questo modo di fare vino, ad Antonio è scattata quando, partecipando alla degustazione di tutti i vini delle aziende a cui un celebre enologo fa consulenza, dal Cile al Sud Africa per arrivare alla Francia, oltre a mezza Italia, ha notato che ogni referenza che assaggiava sembrava uguale all’altra. “Lì mi sono iniziato a rendere conto che i protocolli usati avevano standardizzato le caratteristiche organolettiche. Quando lavori con prodotti chimici stabiliti e lavori in un certo modo, ovunque tu produca vino rischi di fare un prodotto analogo all’altro”.
La conoscenza di Pierluigi Cocchini, responsabile della guida Slow Wine per l’Abruzzo, ha fatto il resto: “È stata determinante nel farmi avvicinare al vino naturale, la collaborazione con Slow Wine dal punto di vista professionale mi ha aperto un mondo, permettendomi di entrare in decine di cantine abruzzesi”.
Agricola Estroversa merita tutta la fortuna di questo mondo, ma è già sulla buona strada se si considera che nel giro di due sole vendemmie è passata da meno di cinquemila bottiglie a circa 18mila, esporta già in Belgio e Polonia e sta per entrare nel mercato cinese grazie a un colosso che le potrebbe aprire le porte di quel difficile quanto ambito mercato. (m.sig.)
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