GESSOPALENA – Se ti avvicini a una qualsiasi pietra, scoprirai che luccicano, intarsiate come sono di gesso; tanto che i romani quella terra la chiamavo Terrae gypsi. Ma non è l’unico carattere che vi si è impresso. A poterle ascoltare, forse un pianto si sentirebbe, una nenia sottile, quasi impercettibile, carica però di un dolore immenso, inimmaginabile, quello della loro completa distruzione avvenuta per mano nazista ormai settantotto anni fa. È la pietra di Torrevecchia, il borgo antico di Gessopalena (Chieti), testimone dei macabri eventi occorsi tra il 4 e il 5 dicembre del 1943.
Da Piazza Garibaldi, dove attraverso alcuni vicoli si accede al borgo, non si sospetterebbe quel grande sperone gessoso che si affaccia sulla Maiella e sulla valle dell’Aventino. Non s’immagina il profondo silenzio, non s’immagina la pietra che dialoga con le macerie, che si mescola, che si fonde. Non s’immagina il lavoro minuzioso fatto per rendere piena dignità a un evento mostruoso che altrove quasi si è tentato a nascondere; come se il dolore fosse vergogna, come se vittime non si smettesse mai di esserlo.
Nel borgo di Gesso, invece, le cicatrici sono in vista. La cura è nella memoria, che resta viva, che diventa spazio e luogo dove riflettere, luogo dove conoscere, luogo dove provare a capire cosa portò degli uomini a cancellare un paese, e con esso tutto il calore che serbava.
I nazisti arrivarono nell’inverno del ’43 insediandosi nelle poche signorili nel rione Torrevecchia. L’ordine era di difendere la Linea Gustav e di fare “terra bruciata” se gli Alleati fossero riusciti ad avanzare. I civili non erano altro che fornitori di provviste o nemici, se vi fosse stato il minimo sospetto di sostegno agli inglesi.
Gli uomini si dispersero nelle campagne circostanti portando con loro il poco bestiame di cui disponevano. In paese restarono solo donne, vecchi e bambini, convinti che almeno loro sarebbero stati risparmiati. Ma poi d’improvviso, il 4 dicembre, arrivò l’ordine, tutti dovevano essere sfollati a Sulmona. Al grido “Gessopalena kaput”, il paese sarebbe stato distrutto.
Era ormai notte quando le case, minate alla fondamenta, iniziarono a esplodere una dopo l’altra davanti agli occhi impietriti degli abitanti rimasti. Ma si raccontano storie anche peggiori, come quella della madre di Domenico Troilo, vicecomandante del gruppo partigiano divenuto poi la Brigata Maiella. La donna e suo figlio si attardarono per racimolare quante più provviste possibili, ma la casa fu fatta esplodere con loro all’interno. Sopravvisse solo Domenico.
Il peggio sembrò passare il giorno successivo, 6 dicembre, con l’arrivo degli Alleati a Casoli e poi a Gessopalena. I tedeschi, però, radunatisi a Torricella Peligna non si diedero per vinti, anzi, continuarono a bombardare Gesso ancora e ancora, più per ferocia che per strategia.
La situazione rimase in stallo per alcune settimane finché la popolazione, dopo l’ennesimo sopruso, reagì e uccise due soldati tedeschi. Le conseguenze furono terribili, portarono alla morte di quarantadue persone: l’eccidio di Sant’Agata.
Il borgo antico continuò a essere abitato da qualche anziano, dai più poveri o da ebrei fino al 1959, quando fu definitivamente abbandonato.
Solo negli anni ’90 iniziò il recupero di Torrevecchia con la decisione di non ricostruire ex novo: la memoria è stata messa al centro del progetto. Uno dei pochi edifici salvatisi è diventato la sede amministrativa del Corpo Volontari “Brigata Maiella”. Alcuni locali sono oggi le sale espositive del Museo del Gesso. Della chiesa di Sant’Egidio è stata ricostruita in parte solo la facciata. Mentre in quello che ora è un teatro all’aperto, un tempo il centro del paese, è stato posto un monumento: un cippo in pietra con le parole dello scrittore napoletano Carlo Bernani e una grande rete metallica, opera di Vincenzo De Gregorio.
La pietra intarsiata di gesso è l’unica testimone.