Cronaca 06 Ago 2022 16:58

NEI CENTRI STORICI ABRUZZESI CRESCONO BAR E RISTORANTI MA CHIUDONO I NEGOZI

NEI CENTRI STORICI ABRUZZESI CRESCONO BAR E RISTORANTI MA CHIUDONO I NEGOZI

L’AQUILA – Pandemia, acquisti online, desertificazione. Il commercio nei centri storici soffre da anni ma ora la crisi sembra aggravarsi. Stando alle rilevazioni della settima edizione dell’Osservatorio di Confcommercio sulla demografia d’impresa nelle città italiane e nei centri storici, il macro-trend totale in tutta Italia conferma una riduzione delle attività di commercio al dettaglio: le attività ammontano a circa 921mila unità in totale, di cui 467mila riguardano appunto il commercio al dettaglio in sede fissa. In nove anni, 85 mila negozi fisici non ci sono più.

Di questi, quasi 4.500 hanno chiuso durante la pandemia o appena dopo. Nel lungo termine crescono, invece, le attività legate al turismo, alla ristorazione e ai servizi.

La finalità dell’Osservatorio è di monitorare nel tempo l’andamento degli esercizi commerciali e delle attività di alloggio e ristorazione guardando come gli aggregati si muovono nei centri storici rispetto al resto del comune.

I dati di base, forniti dal Centro studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne”, prendono in esame l’osservazione di 120 comuni medio-grandi, di cui 110 sono capoluoghi di provincia e 10 sono comuni. Milano, Napoli e Roma non sono state prese in considerazione perché multicentriche, quindi qui non è possibile operare la fondamentale distinzione tra centro storico e periferia o non centro storico. Distinzione indispensabile poiché, quando si tratta di chiusure degli esercizi commerciali, nei centri storici di solito si tratta di una chiusura definitiva; mentre in periferia si assiste al fenomeno degli accorpamenti di più attività che in questo modo spesso riescono a sopravvivere, o a sopravvivere più a lungo.

Per l’Abruzzo sono state analizzate le città di Teramo, Pescara, Chieti e L’Aquila. L’Aquila, ad esempio, che nel 2012 dentro le mura faceva registrare 177 imprese (commercio al dettaglio) e 108 tra bar, alberghi e ristoranti, nel 2019 scendeva a 155 imprese ma saliva a 112 attività tra bar, alberghi e ristoranti. Mentre a giugno 2021 risulta avere in centro storico 165 imprese e 122 esercizi tra bar, ristoranti e alberghi. A Pescara, Chieti e Teramo cambiano i numeri ma non la tendenza di questo andamento.

Il discorso del capoluogo abruzzese, ad ogni modo, si lega anche alle dinamiche del post sisma, quindi la situazione aquilana risente di fattori ancora più particolareggiati rispetto al resto d’Italia e ai comuni presi in esame, ma risulta in linea con il resto delle città esaminate.

Città che cambiano volto, quindi, soprattutto perché il trend si lega a una riduzione delle attività legate al commercio tradizionale ma non ai servizi: crescono infatti ristoranti, farmacie, negozi di telefonia e attività legate alla tecnologia e alla cura del corpo e alcune tipologie di alloggio come b&b e piccole strutture ricettive, mentre scendono grandi hotel, almeno in centro, librerie e negozi di abbigliamento, di giocattoli e di calzature, che escono dai centri storici per spostarsi nei centri commerciali, solitamente periferici.

Dalle analisi del Centro Studi, però, emerge anche un dato importante: non è corretto parlare (né tantomeno ipotizzare), ad oggi, di desertificazione e spopolamento dei centri storici poiché continuano a esserci alcune tipologie di negozi in crescita, come racconta la realtà dei dati. Dunque non si tratta di dinamiche generali, seppure diffuse, ma probabilmente di criticità settoriali, dovute anche allo sviluppo sempre più importante del commercio online, a discapito di quello tradizionale.

La pandemia ha contribuito notevolmente alla crescita del primo, ma gli effetti restano anche ora e i motivi sono diversi. Bisognerebbe superare la distinzione netta tra online e tradizionale in modo da non far corrispondere a questa ascesa dell’online un calo delle vendite dei beni.

Le proposte di Confcommercio per ridurre questa problematica riguardano modelli di governance urbana che agiscano su questi fenomeni a lungo termine, in modo da dare un input vero alla ripresa dell’economia, partendo dal rafforzamento dei partenariati locali ed elaborando strategie che rispondano alle necessità dei luoghi, di volta in volta diverse, anche per usare efficacemente i finanziamenti disponibili, a partire dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che vede diverse opportunità per la rigenerazione urbana. Naturalmente innovazione e ripresa devono andare di pari passo alla sostenibilità, ormai cruciale nel presente e nel futuro di ogni attività: è necessario promuovere uno sviluppo integrato e realizzare strategie urbane sostenibili. Antonella Finucci


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