IL CENTRO DELL’AQUILA COME SPAZIO DEL CONSUMO ELITARIO

di MATTIA FONZI*
L’AQUILA – In questi giorni di fine anno il centro storico dell’Aquila è attraversato da molte persone, come molti centri delle città italiane, per via delle feste natalizie. È un esito non scontato se pensiamo al terremoto del 2009.
L’occupazione (innanzitutto) delle strade nel centro cittadino è essenzialmente un risultato ottenuto dalla comunità. Negli anni la popolazione ha dimostrato più volte di voler occupare le strade, dalle manifestazioni con le carriole ai festival di varia origine e natura. Le scelte (o le non scelte) della politica sono arrivate solo in conseguenza di quell’indirizzo da parte degli aquilani e delle aquilane.
È da questa premessa, che intreccia le esigenze dei cittadini e le politiche delle classi dirigenti, che occorre partire per capire il centro storico dell’Aquila oggi. Un posto che per gran parte dell’anno vive una quotidianità diversa da quella dei giorni natalizi e degli eventi estivi. Soprattutto nelle ore diurne.
Si stima che in centro vivano meno di duemila nuclei familiari, ma il giro delle persone che lo frequenta – quasi esclusivamente per mangiare e bere – è molto più ampio. E così in questi anni sono spariti gli uffici pubblici e privati che caratterizzavano la quotidianità pre-sisma, è tornata solo una parte dei negozi, ma sono esponenzialmente aumentati locali, ristoranti e più di recente anche numerosi b&b, a causa della pandemia che ha direzionato il turismo verso la provincia italiana.
L’effetto ottico prodotto è una sorta di piccola Gardaland incerottata: poche persone tentano di fare una vita quotidiana diurna, molti abitano la città di notte. Mentre lo scenario è quello di palazzi ricostruiti e nella quasi totalità vuoti, ma in parte – minima, per fortuna – anche di strade interrotte, cantieri e vicoli ancora abbandonati, insieme a macerie del terremoto di 13 anni fa.
Il processo che sta vivendo il centro dell’Aquila è quello tipico della gentrificazione, con alcune rilevanti peculiarità dovute alla ricostruzione post-sisma. La gentrificazione è quel fenomeno che vede quartieri popolari trasformati in zona abitate (e non) di pregio, mutate nella composizione sociale, nel costo della vita e delle abitazioni.
Si tratta di una dinamica che ha investito molte città della provincia italiana negli ultimi anni. All’Aquila queste trasformazioni sono ancora in essere, rallentate solo dal fatto che il centro è rimasto a lungo chiuso e pressoché disabitato.
Oggi sono diversi i fattori che rendono il centro dell’Aquila poco accessibile soprattutto a chi non ha possibilità economiche quantomeno adeguate al suo costo della vita. Il tessuto socio-economico cittadino – fatto per lo più da ceto impiegatizio – e le classi sociali abbienti (che più hanno ricavato reddito e rendite dai guadagni della ricostruzione post-terremoto) sono solo due di questi fattori, che si intrecciano con la scarsità di popolazione residente tra le mura e con scelte politiche che puntano sullo sviluppo del turismo e sui grandi eventi.
Queste combinazioni fanno sì che nel centro città, oggi, ci siano diversi ristoranti di fascia alta, ma siano quasi del tutto sparite le osterie e le trattorie, trovino spazio “boutique alimentari” ma non fruttivendoli. Un vortice auto-generativo attraverso il quale più l’area viene spopolata, meno servizi vengono offerti e più si genera spopolamento, a vantaggio di piccoli pezzi di popolazione economicamente privilegiati, target ideale per negozi, ristoranti e locali inaccessibili agli altri.
Una sorta di piccolo pregiato scrigno del consumo, en plen air ed elitario, e tuttavia ancora innestato da tubi e fili ovunque, segni tangibili di una ricostruzione non ancora terminata. Tasselli di una precarietà non ancora superata.
Un “luogo sospeso” dove per la maggior parte delle persone è difficile trovare continuità nel vivere quotidiano. E che, infatti, viene scelto per l’eccezionalità della movida, la straordinarietà di un evento o di una passeggiata fugace.
Cosa diventerà il centro storico aquilano nei prossimi anni è difficile dirlo, ma qualche indizio lo si ritrova nelle politiche pianificate in questi anni. Un posto godibile da vivere ma difficile da abitare, dove le contraddizioni e le disuguaglianze tipiche dello spazio urbano stanno cedendo all’esclusività dell’esperienza effimera e del consumo elitario.
L’unica inversione di tendenza possibile può essere data da serie politiche abitative volte alla lotta allo spopolamento e all’inaccessibilità dell’abitare, oltre che alla cronica mancanza di servizi. Una nuova comunità, insomma, capace innanzitutto di sentirsi tale.
*giornalista, già collaboratore di Virtù Quotidiane
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