A TRENT’ANNI DA CAPACI MORGESE PORTA IN SCENA UN’OPERA DEDICATA ALLE VITTIME DI MAFIA


L’AQUILA – A trent’anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio, Manuele Morgese porta in scena in prima nazionale “Apolidia…il potere della mafia”, un’opera dedicata a tutte le vittime delle stragi di mafia. Appuntamento con la prima nazionale al Teatrozeta di via Rodolfo Volpe, all’Aquila, domani, giovedì 28 aprile alle ore 21,00 (informazioni e prenotazioni al numero (3297488830).

Apolide è colui che non ha più una cittadinanza, non uno Stato dove tornare, un cittadino che non è più figlio della sua nazione. L’odore delle arance è il ricordo che il giudice bambino ha della sua infanzia dove gioca con il suo amico e futuro collega per le strade di una Palermo barocca.

Comincia la farsa messa in scena dal teatro dei pupi siciliani, la lotta tra mafia e Stato, tra il bene e il male. Si delinea così una Palermo grottesca, che si contorce su se stessa, che soccombe alla furia della “piovra” (dal 1981) mafiosa e che reagisce con gli ergastoli inflitti ai capi mafiosi durante il maxi processo voluto proprio dai due giudici.

Spostandosi nel tempo dagli anni settanta, ottanta e novanta, si ripercorrono le morti e i processi che seguirono, da Peppino Impastato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, al presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella fino ai massacri dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I pupi prendono vita e si animano con le voci originali di coloro che furono gli effettivi protagonisti di questa tragica storia.

La politica corrotta che in quegli anni tradì le promesse di fare la Sicilia più bella, e la tinse di rosso sangue, oltre cinquecento furono le morti in quegli anni bui.

Continuano i ricordi dei due giudici, il loro rincorrersi come da bambini dietro le arance usate come palloni da calcio così come nella vita, in quella infaticabile lotta alla mafia che li fa correre veloci verso il loro tragico epilogo, verso una morte violenta, dove lo stato perde la battaglia nella lotta contro la mafia, lasciando scoperti i due giudici, privi della loro nazione che non è in grado di sostenere i suoi paladini contro la ferocia e la barbarie del potere mafioso.

Sul palco tre espressioni artistiche in azione: prosa, danza e musica.

Un testo ‘agito’ che si concretizza nella parola fusa al linguaggio del corpo, mosso dai suoni, da rumori, dalle musiche originali di Rolando Macrini, del teatro La Mama di New York. Il testo scenico è “parcellizzato”, fatto di poche parole; è una composizione polifonica di parole, gesti, immagini, suoni, rumori e colori.

Morgese stringere lo spettatore in un cerchio emozionale, inaspettato, inusuale in una costruzione scenica senza spazio né tempo. Nulla mai deve essere esplicito, proprio come, ad arte, usano esprimersi i mafiosi. La prosa lascia spazio alla poesia che lascia spazio alla fotografia che lascia spazio alla danza, alla musica, alle luci, ai vuoti e pieni della scena, per restituire intatto il messaggio forte e chiaro, del dovere della legalità, della lotta al male.

La solitudine di cui Giovanni Falcone parla nel libro Cose di Cosa nostra, emblema di uno Stato assente che priva il cittadino della sua identità, da cui il titolo di Apolidìa, diventa protagonista nel testo di Morgese.

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