Controvento tra cielo e mare, la storia e i vini di Vincenzo Di Meo nell’oasi naturale di Rocca San Giovanni

ROCCA SAN GIOVANNI – Il suo paradiso tra terra e mare lo ha trovato a monte della Costa dei Trabocchi Vincenzo Di Meo, napoletano di Bacoli con il mare dentro e un grande amore per la campagna. Vincenzo, classe 1972, è il viticoltore al timone della piccola vitivinicola artigiana “Controvento” di Rocca San Giovanni (Chieti), recente rivelazione nella new wave del vino abruzzese.
Lo spettacolo è lì sotto gli occhi e lascia a bocca aperta quando dopo alcune falcate tra i filari si apre allo sguardo il verde brillante del Fosso delle Farfalle, l’area Sic che lambisce la riserva naturale Grotta delle Farfalle e che per circa tre quarti ingloba i suoi vigneti.
Cinque ettari vitati in unico appezzamento in pendenza verso il mare, sito individuato e acquistato da suo padre cinquanta anni fa, dove oggi Vincenzo coltiva produce e imbottiglia essenzialmente Trebbiano e Montepulciano in purezza, Pecorino e anche rosato in anfora “di cui non rivendico la doc ma è Cerasuolo d’Abruzzo, colore tradizionale”.
Una decina di referenze in tutto, nomi ispirati al mare. Moby Dick, Onda anomala, Vento d’estate, Limite acque sicure, Alto mare, e così via. Freschezza e bella acidità nel calice, profumi di macchia mediterranea, aderenza al territorio senza compromessi, vini eticamente corretti, cento per cento naturali, certificati bio.
“Ma Bio non lo scrivo sulla bottiglia, temo possa creare confusione” premette il vignaiolo sicuro del fatto suo : “Al vino non aggiungo proprio nulla, quella certificazione è per me ininfluente, non aggiunge nulla ai miei vini, chi mi conosce sa come lavoro, naturalmente controcorrente”.
Controvento di nome e di fatto, una condizione esistenziale quella del vignaiolo flegreo. Testardo con coraggio, la verità al primo posto. Un atto di fede scolpito di suo pugno sulla retroetichetta: “Questo vino è prodotto grazie alla terra ricca di pietre e alla sua esposizione, al sole, alla brezza del mare e al lavoro meticoloso dell’uomo”.
“Nel mio terreno non è stato mai messo diserbante, e si vede dalle varie essenze spontanee presenti sul terreno, un suolo vivo” afferma diretto. “Il mio è un vino artigianale che può piacere o meno ma che non fa male alla testa”.
Contadino ed enologo del suo vino, Vincenzo racconta a Virtù Quotidiane dell’amore per il luogo dove vive con la moglie Stefania, abruzzese di Crecchio (Chieti), e della passione per il lavoro in campagna. Una scelta obbligata e consapevole, dice: “Non volevo che la proprietà finisse in altre mani. Molto mi ha aiutato nella decisione il mare vicino, un elemento a me familiare, provengo dalla penisola flegrea, diversamente non mi sarei ambientato così bene. Qui c’è tranquillità, natura, biodiversità. Un valore aggiunto a cui ho il dovere di contribuire, ho voluto salvaguardarlo facendo la mia parte. Prima qui intorno i terreni erano coltivati, ora vengono man mano abbandonati e la boscaglia avanza, manca il ricambio generazionale, occorrono passione vera e risorse per gestire un terreno, è un lavoro impegnativo che richiede dedizione. L’importante è riuscire a vivere di campagna, la cosa più difficile credo”.
Vincenzo ha messo radici stabilmente nel posto dove trascorreva le estati da bambino, quando suo papà, commerciante di uve da tavola un tempo qui abbondanti, bianche e rosse, ha deciso di ritirarsi.
“Mio padre conferiva a cantina Miglianico. Con il mio ingresso, nel 2009, non ho più venduto le uve e mi sono attrezzato per vinificare. Sono stato sempre attratto dall’idea di fare un vino come lo faceva mio nonno sul terrazzamento di Bacoli, un prodotto naturale, pulito, in alcuni anni straordinariamente eccezionale, in altri non tanto. Con questo pallino nella mente ho scelto da subito di non ricorrere a lieviti selezionati né chiarifiche, man mano sono passato al bio e poi ho eliminato i solfiti. Un vino senza additivi, non filtrato, a fermentazione spontanea. Una bella sfida. E vedo che c’è sempre più richiesta per questa tipologia, soprattutto molto estero, Stati Uniti, Corea, Giappone. Gli under 35 sono più pronti ad accogliere questo tipo di proposta attenta all’ambiente”.
Nel regno del Tendone, la tradizionale pergola abruzzese icona dell’agricoltura teatina, la scelta del filare per i Di Meo è stato anch’essa un atto di fede, 25 anni fa, l’età del primo vigneto, per adattarsi alla conformazione stretta e lunga del terreno.
“C’è un filo comune tra i miei vini” aggiunge Vincenzo, “qui la brezza è costante tutto il giorno, di conseguenza i nomi si ispirano al mare. Non ho un vino di punta, ne faccio diversi perché il terreno ha parti alte e parti basse, suolo pietroso e argilloso, mi piace riconoscerli nel bicchiere, non amo mischiare tutto. Per il rosso più importante prendo le uve che guardano il mare, il vigneto vecchio meno produttivo”.
Circa trentamila le bottiglie chiuse, con ceralacca dopo l’affinamento in acciaio per i più strutturati, in anfora per i più leggeri, “e coltivo l’idea di tornare al vetro, affinare in dama come in passato”.
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