L’effervescenza dell’Etna è tutta nei suoi produttori di spumanti
CATANIA – Caratteristiche pedoclimatiche più uniche che rare, un suolo vulcanico, basse rese e vendemmia manuale, l’influenza del mare ma la quota elevata con escursioni di oltre 20 gradi tra il giorno e la notte. Si sviluppa in questo contesto – che girando il mappamondo alla stessa latitudine non si ritrova da nessun’altra parte – la viticoltura sull’Etna dove sin dall’Ottocento il vino viene anche spumantizzato e nonostante sia e resti una nicchia è stato capace di farsi conoscere e apprezzare ben oltre i confini regionali, anzi come spesso accade più fuori che dentro la Sicilia.
Una trentina i produttori che non si limitano ad utilizzare il Nerello mascalese – l’unico vitigno previsto dal disciplinare della Doc – per dar vita a prodotti unici che oggi riflettono, si interrogano e si confrontano sul futuro, convinti di una cosa: nessuna sfida alle più blasonate denominazioni, a partire dal posizionamento. Qui la qualità non può abdicare ai prezzi, medio-alti: d’altra parte basti pensare che circa il 40 per cento della superficie vitata è terrazzata e ad alberello con conseguenti, facilmente immaginabili difficoltà di lavorazione, e che sono circa 1.500 le ore di lavoro per ettaro a fronte delle 150 del Prosecco doc.
Quest’ultimo riecheggia, nelle tre giornate di Spumanti dell’Etna che per il sesto anno ha avvicinato esperti, appassionati e grande pubblico al mondo delle bollicine prodotte sul vulcano attivo più alto d’Europa, insieme a Franciacorta e Trento doc, ma senza infingimenti o sindrome di inferiorità, tantomeno con l’ambizione di rincorsa. Anzi, come hanno ribadito Maurizio Lunetta, direttore del Consorzio Etna doc che riunisce circa duecento aziende, e Seby Costanzo, titolare di Cantine di Nessuno e vice presidente del Consorzio, è ferma la volontà di affermarsi come qualcosa di diverso, identitario, di nicchia.
Il fenomeno
Sono anche i numeri a dirlo: meno di 300mila bottiglie, delle comunque poche (circa 6 milioni) di Etna Doc, prodotte nell’area del disciplinare – quindi grossomodo il versante orientale del vulcano – non sarebbero mai in grado di lanciare la sfida alle più blasonate denominazioni italiane di bolle.
Nonostante questo, negli ultimi vent’anni la crescita è stata vertiginosa – da 11 a quasi 30 aziende a produrle – e non mancano i progetti sperimentali, come quello che l’Irvo (Istituto regionale del vino e dell’olio) ha avviato con il Centro di ricerca per la viticoltura e l’enologia (Creavit) proprio di Conegliano (Treviso) che ha portato a produrre nel 2023 tre vini spumante, un bianco, un rosa e uno da bacca rossa, e nel 2024 a sperimentare altre tre bolle prodotte con Nero d’Avola e Frappato.
Gli spumanti entrano nella doc solo nel 2011 ma l’effervescenza – è proprio il caso di dirlo – è tale che i produttori si moltiplicano, senza limitarsi al Nerello previsto dal disciplinare: oggi infatti la batteria è ampia e include spumanti da Carricante, Catarratto, Nerello cappuccio, ai quali nel resto di Sicilia si aggiungono Grillo e l’immancabile Chardonnay. Mentre il Consorzio – che guarda alla Docg per la quale sarebbe già pronto avendo un disciplinare già oggi più stringente di tante denominazioni controllate e garantite esistenti – sta lavorando anche all’introduzione del Carricante – considerando pure che la superficie cresce ogni anno di più – , del pas dosé e delle menzioni comunali per valorizzare ulteriormente prodotti inevitabilmente diversi a seconda dell’altitudine e dell’esposizione.
Gli sforzi
Quello dell’Etna è un brand che travalica i confini nazionali e anche il vino, il vulcano si promuove da solo in tutto il mondo e inevitabilmente i suoi frutti vengono quasi fisiologicamente trainati. Anche per questo negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria “corsa all’Etna”, che se da un lato ha visto molti giovani tornare a coltivare i vigneti dei nonni che i genitori avevano abbandonato – qui il 20% di vignaioli è under 41, il doppio della media nazionale – dall’altro ha indotto il Consorzio a porre un limite stabilendo che nei prossimi anni solo 50 ettari l’anno saranno rivendicabili e massimo 1 per azienda.
L’effervescente mondo delle bollicine etnee, da sei anni celebrato dall’evento Spumanti dell’Etna organizzato dall’omonima associazione condotta dall’instancabile Francesco Chittari che si è svolto lo scorso fine settimana, è rappresentato anche dall’enoturismo, che qui non si predica ma si pratica. Ci sono degli apripista come Gambino Vini a Linguaglossa (Catania), che arriva ad accogliere 40mila persone l’anno e impegna solo nell’ospitalità 20 dipendenti, ma il trend è generalizzato.
Che poi neanche i viticoltori etnei siano profeti in patria – i catanesi sono i primi a non consumare spumanti regionali, come dimostra il primo bar sul lungomare di Catania in cui ti fermi che ti offre Prosecco o un non meglio identificato spumante del Trentino (chissà se intendesse Trendodoc!) – non deve indurli, e in effetti non sembra che accada, a demordere. Anzi, dovrebbero insistere anche aprendo un negozio in aeroporto, proprio accanto a quello di una blasonata casa spumantistica franciacortina, del doppio della superficie!
La storia
Ma se quella della doc è storia recente, gli spumanti sull’Etna hanno radici antiche: nell’Ottocento il primo a produrli fu il barone Spitaleri del Castello di Solicchiata, poi costretto ad abbandonare la produzione a seguito dell’avvento della fillossera. Una storia così profonda che all’epoca le bollicine prodotte sul vulcano si potevano chiamare Champagne dell’Etna e vincevano premi a Parigi, come ha ricordato con un certo orgoglio Michele Scammacca, il pioniere degli spumanti dell’epoca moderna con la sua Cantine Murgo 1860, che nel 1990 dopo tre anni di affinamento diede vita al primo Nerello mascalese brut.
“Era un momento in cui il mercato era molto orientato sull’alta concentrazione, in cui si affermavano i super tuscan. Coi rossi dell’Etna avevamo difficoltà perché non venivano capiti per cui abbiamo cercato nuove vie di impiego del Nerello mascalese, e così è nata anche l’idea di fare spumante”, ha raccontato. “Un’idea che poi si è andata sempre più rafforzando guardando i risultati qualitativi, anche in virtù delle grandi potenzialità che ha questo vitigno per la produzione di spumanti: acidità in primo luogo – nerello significa piccolo nero, infatti non dà vini di grande concentrazione di colore orientandosi sullo stile del Pinot nero – , quindi facilità di vinificazione in bianco e che hanno una bella tenuta nel tempo”.
Presenze turistiche da capogiro che tuttavia fanno difficoltà a convertirsi in affermazione del prodotto sul mercato, come ammette Federica Milazzo di Gambino: “Ci sono grandi aree spumantistiche italiane che sono ancora leader, la nostra produzione è molto limitata e stiamo lavorando principalmente sul territorio. Il lavoro fatto dalle cantine sta mettendo dei puntelli che ci assicurano una grande crescita nel futuro. L’Etna ha un grande vantaggio: stiamo puntando sull’autoctono, un racconto autetncio che crediamo possa essere una grande leva per parlare di questo territorio anche in termini di bollicine”.
La manifestazione
Masterclass, banchi d’assaggio e momenti di confronto hanno animato la tre giorni di Spumanti dell’Etna. Brioso l’avvio con la degustazione alla cieca dedicata ai blanc de blancs condotta da Marco Marcialis che ha messo a confronto spumanti dell’Etna con quelli del resto della Sicilia, tra cui il memorabile Terzavia di Marco De Bartoli, Grillo in purezza. Una serata ospitata da Tenute Nicosia a Trecastagni (Catania), un altro esempio di straordinaria ospitalità con la sua osteria aperta tutti i giorni.
Al sommelier Fis Paolo Di Caro è toccato invece guidare la degustazione dedicata ai rosa, l’indomani da Gambino – dei sette assaggi, persuasivi gli spumanti di Cantine di Nessuno, Cantine Russo e Cantine Murgo – dove per restare in tema di genere si sono confrontate anche cinque donne, intervistate da Simona Scandura: Federica Milazzo, sommelier, Gea Calì, organizzatrice di Drink Pink in Sicily, Francesca Guglielmino editore di Living in the Sicily, Valeria Messina, del Forno Biancuccia, e Gina Russo presidente dell’associazione Strada del vino e dei sapori dell’Etna.
La terza giornata, prima della serata conclusiva al Museum&Fashion di Marella Ferrera nel centro di Catania, ha visto una degustazione alla cieca di blanc de noir alla cantina La Contea di Mascali (Catania) condotta dal sommelier Fis Manlio Giustiniani, che da esperto di Champagne ha inserito un intruso d’oltralpe tra gli assaggi che molti hanno fatto fatica a riconoscere, anche a dimostrazione dell’alta qualità degli spumanti etnei che non temono confronti.
Nel mezzo, una cena dai grandi formati al ristorante stellato Coria, accompagnata da una selezione di spumanti in bottiglie magnum. (m.sig.)
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