Cantine e vini 05 Ott 2024 08:25

Metodo ancestrale. Ritorno all’antico o metodo del futuro?

Metodo ancestrale. Ritorno all’antico o metodo del futuro?

TORINO – Un metodo di vinificazione che non vuole essere né un Metodo Classico né uno Charmat, ma una sorta di via di mezzo. In questo procedimento la fermentazione viene rallentata e bloccata, grazie alla graduale diminuzione della temperatura, lasciando una quantità di zuccheri ancora da svolgere.

È il metodo ancestrale, per il quale nel vino imbottigliato, all’arrivo della primavera, e quindi con il nuovo innalzamento delle temperatura, la fermentazione riprende spontaneamente, dando modo all’anidride carbonica di creare, come dicono i cugini d’oltralpe, un “petillant” leggermente frizzante.

Storicamente utilizzato in Champagne, per dare una maggior complessità organolettica, in realtà si presume che sia una tecnica ancora più antica utilizzata inizialmente nella zona della Blanquette de Limoux, e ad oggi forse la più antica tra le tutte tecniche in uso.

Un vino, quindi, che può essere considerato il padre fondatore delle bollicine, e che è tornato molto di moda negli ultimi anni. Un ritorno molto probabilmente legato al desiderio di riprendere un contatto più diretto con la natura, e con tutte le produzioni legate ad essa, senza ricorrere ad espedienti chimici e sintetici.

Chiaramente, per chi si avvicina a questo tipo di etichette, e non conoscendone l’origine, la reazione potrebbe essere di sorpresa, o addirittura di titubanza. Chi si aspetta una bollicina o un perlage intenso, “grosso”, e lungo al palato, vedrà sicuramente disattese le sue aspettative.

Questi vini hanno una effervescenza meno invadente e una frizzantezza leggera, anzi a volte quasi impercettibile, dando l’impressione che siano totalmente fermi, o addirittura sgasati, e con un tasso alcolico più basso rispetto agli altri metodi.

Stessa cosa per quando li si osserva nel bicchiere. Dal momento che non si effettua la sboccatura (operazione che consiste nell’eliminazione dei lieviti di fermentazione residui, bloccati nel collo della bottiglia), spesso gli ancestrali si mostrano torbidi e con tracce di residui, sorprendendo i neofiti sommelier.

Nei decenni passati, questa tecnica è stata un po’ messa da parte da parte dei produttori. I motivi chiaramente vanno ricercati nelle tante incognite che si dovevano affrontare per produrli, a cominciare dai rischi di una buona riuscita in bottiglia, e conseguentemente al timore di grandi perdite economiche.

Oggi sono oggetto di un recupero intelligente e scrupoloso, che suggerisce riflessioni originali anche sul tema del cambiamento climatico, e sulla necessità di modificare le tecniche di allevamento e produzione.

Al Salone del Gusto di Torino, da poco andato in archivio, l’incontro “Frizzanti artigianali, rinascere in bottiglia” organizzato da Slow Wine, è stata un’occasione di avvicinamento e approfondimento del metodo ancestrale in ossequio al claim di questa edizione, “We are Nature”.

Moderato da Alberto Farinasso, comunicatore e coordinatore responsabile in Velier, azienda di importazione di vini e liquori, e con la partecipazione di Gabriele Rosso, scrittore enogastronomico e collaboratore di Slow Wine e di Giampiero Pulcini, sommelier e divulgatore, il dibattito si è incentrato sui vini frizzanti, in particolare quelli prodotti grazie al metodo ancestrale.

L’incontro ha dato vita a un viaggio tra Emilia e Veneto, alla scoperta di inattesi rifermentati, frutto di tradizioni centenarie.

Qui di seguito una veloce rassegna dei vini in degustazione, ma permettete di partire da un’etichetta che merita un capitoletto a parte, sperando di recare in nessun modo offesa a tutte le altre.

Un vino che negli anni è diventato una specie di mito dell’enologia, con una lunga storia alle spalle, fatta anche di battaglie e fatica contro la burocrazia, per arrivare a conquistare un suo riconoscimento. Il Barbacarlo di Lino e Giuseppe Maga rappresenta questo. Simbolo dell’Oltrepò Pavese, sulle colline di Broni (Pavia), nel 1896 viene fondata dagli antenati della famiglia Maga la cantina, intitolando la vigna allo zio Carlo, che in dialetto pavese diventava proprio Barba Carlo.

Incontrare Lino Maga, scomparso nel 2022, era considerata “un’esperienza”, e avere oggi l’occasione di degustare questa bottiglia un immenso onore e fortuna.

Prosecco Valdobbiadene docg – Ca’ dei Zago
Azienda Alla quinta generazione di vignaioli artigiani, l’Azienda Ca’ de Zago, nata negli anni ’20 del secolo scorso, si trova sui colli del trevigiano.
Qui il vino, il “prosecco”, si fa come lo facevano i nonni.
Glera in purezza, utilizzano il mosto congelato dello stesso vino, che alla fine di marzo dell’anno dopo la vendemmia, verrà scongelato e aggiunto al resto della massa di vino fermo, facendo ripartire nuovamente la fermentazione e creando le amate bollicine.

Bianco Malvasia di Candia aromatica ’23 – Podere Magia
In questo caso siamo in Emilia, in Val d’Enza, regno dei tortelli, del parmigiano reggiano, dell’aceto balsamico.
E dei vini rifermentati in bottiglia.
Azienda biologica, o meglio ancora, biodinamica, nata nel 2013 grazie a Stefano Pescarmona, non solo produttore, ma anche consulente per aziende vitivinicole e docente all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
In degustazione il frizzante Bianco Malvasia, 100% Malvasia di Candia Aromatica da viticoltura biodinamica, vinificata in acciaio, e sempre con l’utilizzo di mosto congelato. Travasi ed imbottigliamenti effettuati seguendo il calendario lunare.

Sorbara “San Vincent” ‘23 – Bergianti Vini
Siamo sempre in Emilia Romagna, a Carpi, dove Gianluca Bergianti, insieme alla moglie, nel 2008 acquistano sedici ettari di terra, da cui producono le loro etichette, tutte certificate Demeter.
Il Sant Vincent degustato è uno spumante rifermentato in bottiglia, da un clone vecchio di Lambrusco Sorbara.
Come curiosità, il nome deriva dal santo patrono di vigne e vignaioli che si celebra in Francia il 5 aprile, in qualche modo italianizzato con quel san, avendo tracce storiche anche nel Belpaese.

Rosso frizzante “Iena” – Franchina e Giarone
Azienda del modenese, nata nel 2020 da un progetto di Luca Pizzetti, con l’obiettivo di dare in bottiglia la massima espressione del territorio.
Come curiosità, Franchina e Giarone sorge in collina, e non in una via a caso, in Via Spagna, quella dove il Trebbianino, prese in nome di Trebbiano di Spagna.
Rifermentato con metodo ancestrale Iena è un vino prodotto da Lambrusco Grasparossa per l’’85 %, e Trebbiano Modenese per il 15 %.

Prosecco “Vitale” Valdobbiadende docg – Malga Ribelle
Prende il nome dal suo produttore, Vitale Girardi, che nel 2017 ha dato vita a questo progetto enoico, dopo decenni in cui le uve coltivate dall’azienda di famiglia erano destinate alla vendita alle cantine locali.
È un prosecco, con una solida base di Glera, a cui vengono aggiunte un 5 % di vitigni autoctoni, Bianchetta, Perera e Verdiso.
Questa è l’unica etichetta prodotta dall’azienda, dalla sua vigna di 1,5 ettari, nutrita con concime ricavato dalle vacche allevate dallo stesso Vitale.

Tarbianèin – Claudio Plessi
Siamo nel modenese, nel comune di Castelnuovo Rangone, dove c’è una piccola vigna di soli vitigni autoctoni, dal 1986 certificato biologico.
Tarbianèin è un Trebbianina o “Trebbiano di Spagna”, come anticamente chiamato, frizzante con metodo ancestrale.

Centenario – Azienda Agricola Perseveranza
A pochi passi da Modena, fondata nel 2018 da Matteo Verri che, dopo aver lavorato nell’autofficina di famiglia, decide di dedicarsi a questa nuova avventura.
Vino rosato frizzante di lambrusco di Sorbara, prodotto da un vigneto centenario, al centro di Sorbara, gestito dal signor Celestino e circondato da un muro in pietra: quello che in Francia chiamerebbero clos.


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