Tachis, Supertuscan, Incisa della Rocchetta e Antinori: viaggio nel rinascimento enologico italiano con Assosommelier Abruzzo

TERAMO – Una degustazione eccezionale abbinata alla storia del rinascimento enologico italiano. È stata questo la serata organizzata da Assosommelier Abruzzo e Marche che nei giorni scorsi a Teramo ha catturato l’attenzione di una platea di cinquanta persone.
Un evento straordinario che ha messo insieme cultura del vino e storia contemporanea, grazie all’eloquenza di Leonardo Rossi, un oratore di grande spessore che ha catapultato i partecipanti in un viaggio nel tempo e nei sensi, mentre si addentrava nella storia dell’enologia italiana.
La serata ha dato risalto a figure di spicco che hanno contribuito a creare alcuni dei vini più famosi al mondo, trasformando la storia del vino in Italia. Uno dei protagonisti indiscussi di questa storia è il “taglio Bordolese,” un vino ottenuto dalle uve Cabernet-Sauvignon, che ha conquistato il palato di tutto il mondo con il suo sapore eccezionale e la sua straordinaria eleganza.
Leonardo Rossi ha iniziato il suo racconto dall’eredità di Giacomo Tachis, citando la frase di apertura del libro del celebre enologo Sapere di vino, che riporta la citazione dello scopritore del primo antibiotico Alexander Fleming: “La penicillina guarisce gli uomini, il vino li rende felici”.
Per comprendere appieno il contesto storico, bisogna fare un salto indietro nel tempo. Dopo la seconda guerra mondiale, il vino italiano si caratterizzava per una qualità estremamente bassa. La produzione vinicola era caratterizzata da un’enorme quantità di vino di scarsa qualità. Il vino aveva principalmente un ruolo di sostentamento nella dieta mediterranea, considerato più come una fonte di calorie che come una bevanda di pregio.
L’attenzione alla qualità era scarsa, le tecniche erano limitate, e l’Italia era in ritardo di cinquant’anni rispetto alla Francia, soprattutto dopo la crisi della fillossera. Verso la fine degli anni ’60, la situazione del vino italiano era tragica. In Francia, il vino contribuiva al 12% del Pil, mentre in Italia, nonostante il 40% della popolazione si dedicasse all’agricoltura, l’apporto al Pil era misero, solo il 3%.
Durante questo periodo, il sistema dei latifondi era in declino, e la maggior parte dei contadini erano mezzadri con una bassa istruzione. L’industria vinicola era prevalentemente un’attività di sussistenza, con piccole aziende che producevano vini poco interessanti e difficilmente esportabili.
La svolta arrivò con la fondazione della Repubblica Italiana nel 1946. In modo sorprendente, la vera rivoluzione del vino degli anni ’60 fu guidata dalla nobiltà, che possedeva terre, era composta da commercianti, e aveva relazioni internazionali, dimostrando una volontà straordinaria di creare nuovi mercati per il vino italiano.
Tra i nomi illustri di questa nobiltà vitivinicola, spiccano i Curieri Gonzaga, i Frescobaldi, i Boncompagni Lodovisi e i Pallavicini di Roma, i Tasca D’Almerita in Sicilia, gli Incisi Della Rocchetta in Toscana, i Marchesi di Gresì in Piemonte, ma è la famiglia Antinori che ha giocato un ruolo di primissimo piano in questa rivoluzione.
L’azienda Antinori è stata fondata nel 1385 e ha operato con successo per ben 26 generazioni. Uno dei loro antenati, Giovanni di Piero Antinori, fu una figura chiave. Nel 1898, i fratelli Luigi e Piero fondarono la Marchesi LP Antinori e iniziarono a sperimentare nuovi approcci nella produzione vinicola.
Da viaggio in Champagne, riportano in Italia l’esperienza del metodo classico, producendo uno dei primi spumanti italiani di qualità. Nel 1928, il Chianti di Antinori segnò una svolta, diventando uno dei primi a essere commercializzato dopo un lungo periodo di invecchiamento.
L’eredità di queste famiglie nobili continua a riverberarsi nella viticultura italiana, dimostrando come la passione, la determinazione e la visione possano trasformare radicalmente un settore e ridefinire il ruolo del vino nell’identità italiana. Questo rinascimento enologico italiano rimane un esempio straordinario di come il vino sia diventato una parte essenziale della cultura italiana e una voce riconosciuta a livello internazionale nel mondo del vino.
L’ombra della seconda guerra mondiale e del ventennio fascista avevano avuto effetti negativi sull’industria vinicola italiana, impedendo qualsiasi progresso significativo nella lotta contro la fillossera, un parassita che aveva decimato le viti in tutta Europa. Tuttavia, il 1966 segna l’inizio di un capitolo importante nella storia dell’enologia italiana, e al centro di questo capitolo c’è un uomo noto come “Mescolavin”, Tachis appunto, enologo e scienziato piemontese.
Nel 1954, si diploma in enologia presso la prestigiosa scuola di Alba, all’epoca il centro più importante per l’istruzione enologica. Inizialmente, la sua carriera lo porta nel mondo dei distillati, dove lavora con il rinomato marchio Martini e Rossi. Un inizio apparentemente lontano dall’universo del vino in cui avrebbe successivamente lasciato un’impronta indelebile.
L’incontro chiave si verifica quando Tachis colloquia con l’azienda Antinori. Qui, i dirigenti riconoscono immediatamente la sua capacità innovativa e la sua visione unica e gli affidano un compito cruciale: rivoluzionare la produzione dell’azienda. La carriera di Tachis accelera rapidamente, e nel 1964 diventa direttore tecnico della cantina. Nel 1966, assume la posizione di direttore dell’azienda. L’incontro con Piero Antinori dà vita a una nuova visione per l’azienda.
Giacomo Tachis era uno studioso curioso, profondamente appassionato del mondo del vino. Era un ammiratore accanito di Emile Peynaud, considerato il padre della viticultura mondiale. Peynaud, oltre a essere un enologo, era anche un valente degustatore. Il suo forte desiderio di assaggiare e comprendere i vini li ha resi dei veri capolavori, alcuni addirittura mitologici. Tra cui Château Beychevelle, Château Lafite-Rothschild, Château Léoville-Las-Cases, Château Margaux, Château Cheval Blanc, Château Ducru-Beaucaillou, Château Haut-Brion, Château Pape-Clément e Château Pichon-Longueville Comtesse.
Emile Peynaud è stato l’artefice della rinascita dell’industria vinicola borghese dopo la guerra, ha contribuito in modo significativo allo sviluppo dei vini moderni e ha posto l’accento sulla qualità. Tachis condivideva quest’idea e l’ha portata con sé in Italia.
Grazie a questa filosofia, Tachis dopo la pensione ha lavorato con numerose cantine in tutta Europa, compresa la consulenza per la creazione delle famose cantine Carras in Grecia negli anni ’60 e Ca’ del Bosco in Lombardia negli anni ’70. Ha sempre cercato di eliminare il margine di errore nella produzione vinicola, introducendo pratiche ora comuni come la fermentazione in acciao a temperatura controllata, l’affinamento breve in barrique e la maturazione lunga in bottiglia.
Nel 1966 l’alluvione che devastò Firenze coinvolse anche l’azienda Antinori. Invece di piegarsi di fronte alla catastrofe, decisero di ricostruire una nuova cantina. Chiamarono Peynaud a fare da consulente, chiudendo così il cerchio tra Tachis e Peynaud, che avevano precedentemente avuto un breve scambio epistolare sulla ricerca di nuove tecniche di vinificazione.
Questo trio, composto da Peynaud, Tachis e Antinori, ha creato una sinergia incredibile. Antinori aveva una straordinaria abilità commerciale e voleva produrre vini esportabili di alta qualità. Tachis ha trasformato questa visione in realtà. Il celebre Tignanello è stato il primo vino in cui Tachis si è cimentato per creare qualcosa di completamente differente, scommettendo tutto su di esso, introducendo l’affinamento in barriques e assemblando varietà non tradizionali come il Cabernet-Sauvignon, una delle uve più vendute al mondo.
L’eredità di Giacomo Tachis è una testimonianza dell’importanza di avere persone visionarie e appassionate nell’industria vinicola. Il suo lavoro ha avuto un impatto profondo sulla rinascita del vino italiano e ha contribuito a creare alcuni dei vini più celebrati e distintivi del mondo. Un omaggio al suo spirito pionieristico e alla sua dedizione all’arte del vino.
Ma perché proprio il Cabernet-Sauvignon? Per rispondere a questa domanda, bisogna esplorare la storia della regione di Bordeaux, la sua lunga tradizione vinicola e il suo influsso sul mondo del vino.
Bordeaux, nella Francia sud-occidentale, è stata a lungo considerata la regione vitivinicola più prestigiosa e commerciale del mondo. La sua fama risale a quasi un millennio fa, quando gli inglesi acquistavano il suo vino, noto come “Claret” (un rosato), tra il 1100 e il 1400. Anche dopo la fine della Guerra dei Cent’anni, alla fine del 1400, quando gli inglesi si ritirarono dall’Aquitania, i vini di Bordeaux continuarono ad essere molto apprezzati.
Il Medoc, situato tra l’Oceano Atlantico e l’estuario del fiume Gironda, è l’area più pregiate di Bordeaux. Ci avevano visto lungo gli olandesi che già dal 1600 iniziarono a bonificare questa zona e a produrre vini di alta qualità, dando vita a una tradizione che continua ancora oggi. Nel 1855, i vini di Bordeaux furono presentati come esempio di eccellenza alla Esposizione Universale di Parigi.
Il Cabernet-Sauvignon, una varietà di uva versatile, divenne un elemento chiave di successo nella regione di Bordeaux. Tachis, insieme a Piero Antinori, comprende l’importanza di questa uva e i due insieme decidono di piantare le prime viti di Sangiovese con il Cabernet-Sauvignon per produrre poi il Tignanello. Per portare avanti questa ambiziosa visione, Tachis applica le indicazioni di Emile Peynaud, noto per cercare costantemente la rotondità, l’equilibrio e l’armonia nei vini.
L’Antinori crea un solido sostegno dietro il Tignanello, con una strategia di marketing mirata. Il vino raccoglie successi, viene premiato e si distingue. Nasce così il termine “Supertuscan”, coniato da alcuni giornalisti inglesi, poiché questi vini sfidavano le categorie esistenti senza avere una denominazione, tanto che fino al 1992 venivano etichettati come “vino da tavola”. Sarà la legge Goria, in quell’anno, a introdurre la denominazione Igt (Indicazione Geografica Tipica) e permettere finalmente di utilizzare il nome “Toscana” sulle etichette.
Il Tignanello rappresenta un punto di svolta nella storia del vino italiano. Seguono altri vini come il Solaia, il Cepparello, il Flaccianello della Pieve, Ornellaia, Le Pergole Torte, che sfidano le convenzioni e danno inizio a una feroce guerra tra tradizionalisti e modernisti che durerà per due decenni.
Tachis, anni prima di avviare la produzione di Tignanello e Solaia, trascorse del tempo a Bolgheri, studiando sotto la famiglia Incisa della Rocchetta. Questo periodo di apprendimento portò alla creazione di uno dei vini più celebri al mondo, il Sassicaia, degustato durante la serata. Il Sassicaia ha dato una spinta senza precedenti al terroir di Bolgheri, frazione del comune di Castagneto Carducci (Livorno), contribuendo a creare una nuova denominazione e una rivoluzione stilistica.
Tachis ha avuto un impatto indelebile sull’industria vinicola italiana. Dopo aver lasciato l’azienda Antinori nel 1992, ha continuato a lavorare come consulente enologico freelance, mettendo la sua firma su decine di vini importanti in tutta Italia. La sua eredità rimane una testimonianza dell’importanza di individui visionari e appassionati nell’evoluzione del vino italiano.
Nella storia del vino italiano, ci sono momenti epocali che segnano un prima e un dopo. Uno di questi momenti di svolta è rappresentato da Sassicaia, un vino che ha rivoluzionato l’industria vinicola italiana e ha fatto il suo ingresso trionfante sulla scena internazionale.
La storia di Sassicaia ha inizio con Mario Incisa della Rocchetta, membro di una nobile famiglia romana che aveva una passione per i cavalli e per il vino e che nel 1944, presso Castiglioncello, poco sopra Bolgheri, impiantò un ettaro e mezzo di vigna con le varietà di uva Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. La sua visione era ambiziosa, ma inizialmente sperimentò da solo, producendo vino nei tini aperti e utilizzando botti piccole, dato che le barrique non erano ancora disponibili in Italia. Tuttavia, con il passare degli anni, l’innovazione divenne sempre più evidente.
Mario Incisa della Rocchetta, noto per la sua ostinazione chiama il nipote enologo, Carlo, creatore e proprietario di Tenuta San Leonardo, che divenne il primo consulente enologico della tenuta di Sassicaia. Questo segnò l’inizio di una nuova era per la cantina.
La rivoluzione di Sassicaia prese forma grazie a diverse innovazioni, come l’uso della prima pressa soffice in Toscana, che favoriva una leggera estrazione e una migliore qualità del vino. Guerrieri Gonzaga introdusse inoltre le prime barrique in Italia, prima di Antinori. La cantina di Mario Incisa della Rocchetta, cugino di Piero Antinori, attirò l’attenzione di quest’ultimo, ma Antinori fu saggio nel monitorare gli esperimenti del cugino prima di fare il suo ingresso di una nuova tecnica e produzione del vino. Alla fine degli anni ’60, la cantina di Sassicaia si trasferì verso il mare e acquistò 8 ettari di terreno estremamente sassoso, perfetto per questa produzione, da qui il nome “Sassicacia”, la terra dei sassi.
Piero Antinori, noto per la sua abilità commerciale, fece un accordo con Mario Incisa della Rocchetta per la vendita del Sassicaia e richiese che Giacomo Tachis diventasse l’enologo anche se il marchese non era proprio in accordo con le sue idee.
Nel 1971, venne imbottigliata la prima annata del Sassicaia con l’etichetta del 1968. Quasi tutto ’68 con una piccola parte del 1965 e due parti del 1966 e del 1967, conferì a Tachis il suo soprannome “Mescolavin”. Durante questo periodo, il marchese sempre in disaccordo con Tachis, creò anche un proprio vino per due annate, il “Sassicaia Clandestino”. Nel 1974, il marchese scomparve, lasciando il timone dell’azienda a suo figlio, Nicolò Incisa della Rocchetta che invece condivideva a pieno le idee di Tachis.
Antinori aveva un punto vendita a Firenze chiamato “L’edicola”, dove iniziarono a vendere il vino ai commercianti e iniziò a ottenere successo. Il marchese invecchiò e, sempre più a malincuore, accettò le critiche di Tachis, il quale lo rimproverava ad esempio per l’uso dei tini aperti senza controllo della temperatura. Nonostante le sue riserve, il marchese cedette alle osservazioni di Tachis. Iniziarono così a produrre il Sassicaia, commercializzato da Antinori.
Le rese furono dimezzate a 40 quintali per ettaro e la percentuale di Cabernet Sauvignon aumentò all’85%, con il 15% di Cabernet Franc, la formula attuale del Sassicaia. Il vino subì la fermentazione malolattica in barrique e l’affinamento in barrique fino a 22-25 mesi, a seconda dell’annata. La produzione fu caratterizzata da una viticoltura naturale, fermentazioni con lieviti autoctoni e l’uso limitato di solforosa.
Il 1975 fu un anno di svolta per il Sassicaia, quando fu commercializzato con grande successo, ottenendo il plauso di esperti come Luigi Veronelli. Il Sassicaia iniziò a competere con i migliori vini di Bordeaux e vinse nel 1978 una degustazione alla cieca a Londra contro i più prestigiosi Château francesi. Questo fu il momento della consacrazione internazionale.
Nel 1994, ottenne il riconoscimento di denominazione di origine controllata (Doc) e da allora è celebrato come uno dei più grandi vini italiani. Il Sassicaia non ha mai smesso di raccogliere riconoscimenti in Italia e in tutto il mondo, tante annate premiate con i Tre Bicchieri del Gambero Rosso, con la 2015 n° 1 nella “Top 100” di Wine Spectator, migliore vino d’Italia dell’anno 2018.
Infine, Leonardo Rossi conclude la serata con una riflessione significativa: nella storia del vino italiano nel mondo, c’è un divario evidente, un prima e dopo Tignanello e un prima e dopo Sassicaia. Questi vini hanno rivoluzionato la percezione del vino italiano, aprendo le porte a una nuova era di eccellenza enologica e gettando le fondamenta per il risorgimento dell’industria vinicola italiana. La loro storia rappresenta un capitolo iconico nella narrazione del vino italiano e un omaggio a coloro che hanno avuto il coraggio di sognare in grande.
I VINI IN DEGUSTAZIONE
BARRUA Isola dei Nuraghi Rosso 2019
MARCILIANO Cotarella 2018
PELAGO Umani Ronchi 2018
SASSICAIA 2020 Tenuta San Guido
CHÂTEAU RAUZAN SEGLA 2017 -2EME CRU CLASSE
Il mondo necessita di cultura, e il vino ed il cibo sono espressioni culturali straordinarie. Durante un’entusiasmante degustazione che ha portato quest’esperienza a un nuovo livello, le referenze assaggiate si sono rivelate una sorpresa dietro l’altra. Il Pelago 2018 di Umani Ronchi, insignito del titolo di miglior cantina 2023 dal Gambero Rosso, ha davvero colpito, con il suo Montepulciano “smussato” di grande piacevolezza.
Elegante e accessibile a molti, lo Château Rauzan Segla 2017 – 2eme cru classé è uno dei pochi Château ad offrire un eccezionale rapporto qualità-prezzo, con un costo di circa cento euro, in netta controtendenza rispetto alle etichette blasonate spesso mitiche e difficili da reperire. Inoltre, il leggendario Sassicaia si è dimostrato al suo massimo splendore, confermando ancora una volta la sua straordinaria qualità.
Le attività di Gabriele Ordinelli e Sonia Petruzza , che meritano un plauso, possono essere seguite sulle pagine Facebook Assosommelier Abruzzo ed Assosommelier Marche.
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