Eventi, fiere ed appuntamenti 26 Mag 2023 14:16

Il quintetto di fiati Ellet chiude la rassegna “La corte dell’arte” che ha accompagnato la mostra di Mangolini

Il quintetto di fiati Ellet chiude la rassegna “La corte dell’arte” che ha accompagnato la mostra di Mangolini

L’AQUILA – Un ultimo evento della rassegna “La corte dell’arte” animerà questo fine settimana la corte di Palazzo Cappa Cappelli all’Aquila, tra le opere dell’artista Carlo Mangolini, raccolte nella mostra “Quello che resta” curata dalla storica dell’arte Simona Bartolena e allestita dall’architetto Marcello Deroma, visitabile nel cortile e negli spazi della Fondazione Giorgio de Marchis Bonanni d’Ocre.

Il programma di chiusura, per sabato 27 maggio alle ore 18,00, prevede il concerto del Quintetto di fiati Ellet del Progetto Syntagma con “Alle Danze”, che vedrà eseguire le danze antiche ungheresi del XVII secolo di Ferenc Farkas, le Rumänische Volkstänze di Béla Bartók e le Danze Norvegesi di Edvard Grieg.

L’orchestra del Progetto Syntagma, ispirandosi al filo conduttore che anima tutti gli eventi inscenati a “La Corte dell’arte”, ha recuperato composizioni appartenenti al repertorio del secolo scorso, caratterizzate dalla ripresa di temi popolari, rimodulati in una forma colta. Fautore principale di questo movimento, fu il compositore ungherese Béla Bartók, il quale dopo aver scoperto le musiche contadine dei magiari, cominciò a includere canzoni popolari nelle proprie composizioni e a scrivere temi originali con caratteristiche simili, oltre a usare frequentemente figure ritmiche di matrice folklorica.

Per l’occasione il Quintetto di fiati Ellet del Progetto Syntagma, composto da Elena Ricci, flauto e ottavino, Francesco Di Giacinto, oboe, Luca Giuliani, clarinetto, Leonardo Pasqualone, corno, Eleonora Pagnoncelli, flauto, eseguirà le danze antiche ungheresi del XVII secolo di Ferenc Farkas, le Rumänische Volkstänze di Béla Bartók e le Danze Norvegesi di Edvard Grieg.

Progetto Syntagma nasce a L’Aquila nel 2021 come un nuovo progetto musicale con l’obiettivo di offrire a un pubblico quanto più eterogeneo, nei più svariati e differenti contesti di fruizione, una proposta culturale di alto livello, basandosi sulle energie di giovani professionisti che collaborano con orchestre e teatri in Italia e all’estero, e che spazia dal repertorio cameristico a quello orchestrale, dal classicismo viennese alle ultime tendenze della musica contemporanea. Pur di recente formazione, l’orchestra vanta collaborazione con musicisti di chiara fama internazionale, tra i quali Enrico Onofri, Alessandro Quarta – direttore e violinista – Jacopo Sipari di Pescasseroli, Carlotta Colombo, Gaetano Russo, Ahmed El Saedi. L’ensemble si è esibito per il Festival Internazionale di Mezza Estate di Tagliacozzo, la stagione concertistica dell’Oratorio del Gonfalone, Accademia degli Sfaccendati, il Sacrum Festival, i Concerti nel Parco.

La mostra “Quello che resta”, inaugurata il 6 maggio scorso, ha ricevuto un numero di visitatori al di sopra delle più rosee aspettative, vedendo alternarsi appassionati, passanti e scolaresche, quest’ultime particolarmente interessate alle tecniche artistiche meno frequentate nel programma di studi, come appunto gli assemblaggi scultorei. Le opere di Carlo Mangolini, curate dalla storica dell’arte Simona Bartolena, sono realizzate con materiali eterogenei e recuperati dall’artista in mercatini, botteghe o salvati dalla distruzione e dall’oblio. Nascono da un lavoro incessante di ricerca di tracce e di memorie del tempo trascorso, attraverso il recupero e il riuso di vecchi attrezzi e di strumenti da lavoro appartenuti ad un passato recente, laborioso e collettivo. La forza evocativa che si crea tra l’accostamento reciproco di questi oggetti, ormai privi di funzione, è ancora motrice di senso e di equilibrio: relazionati tra di loro in un assemblaggio apparentemente casuale, sono in grado di comunicare una sospensione emotiva in continua costruzione e in costante dialogo con chi osserva.

L’opera di Mangolini non si rivolge a un osservatore passivo della rappresentazione artistica ma gli chiede di farsi parte attiva, di interagire con maniglie, chiavi, attrezzi, strutture per completarne il senso. L’opera, dunque, ha bisogno dei visitatori per essere fruita e i visitatori, agendo in sinergia con gli assemblaggi, riaccendono ricordi personali che si inseriscono nella memoria collettiva di un luogo e un tempo ormai superato, quello della cultura rurale. Forme sinuose e minacciose, luci e ombre, statue autoportanti e chiavistelli da aprire sono state in mostra per tutto il mese di maggio all’interno del Palazzo Cappa Cappelli, armonizzandosi con gli spazi esistenti, grazie al lavoro di allestimento dell’architetto Marcello Deroma.


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