DARK KITCHEN E GHOST RESTAURANT, L’ESPERTO: NORMATIVAMENTE SCONOSCIUTI, ECCO LE DIFFERENZE

ROMA – Le chiusure imposte dalla crisi sanitaria, alternate a parziali riaperture in cui l’attività era destinata ai soli asporto e consegna a domicilio, hanno condotto all’affermazione, anche nel nostro Paese, delle cosiddette “cucine fantasma” ossia spazi dedicati alla sola preparazione e assemblaggio di piatti destinati alla consegna, quindi senza somministrazione in loco, sala e personale di servizio
Rientrano in tale fenomeno sia i ghost restaurant, ossia locali che, alla ristorazione tradizionale, affiancano un’attività in rete che si avvale, prevalentemente, di piattaforme di food delivery, sia le dark kitchen, ossia nuove realtà che operano con sola cucina e recapito domiciliare.
“Pur se sotto il profilo normativo entrambe le categorie risultano ancora oggi normativamente sconosciute”, spiega Alessandro Klun, autore di diversi testi sul diritto della ristorazione, e che durante il lockdown ha pubblicato No show e recesso dalla prenotazione ristorativa, “si può osservare che mentre i ghost restaurant non richiedono adempimenti specifici ed ulteriori rispetto alla comune ristorazione, ferma l’osservanza delle norme igienico-sanitarie in materia alimentare, incluse quelle relative al confezionamento e al trasporto dei piatti, le dark kitchen vengono ricondotte al take away e alla ristorazione senza somministrazione con preparazione di cibi da asporto (codice Ateco 56.10.2).
“Pertanto, l’avvio di una dark kitchen richiede, in relazione al locale, una Scia sanitaria ai sensi del Regolamento CE n. 852/2004, il superamento di un corso Haccp per la trattazione degli alimenti e l’osservanza delle norme di igiene alimentare sei prodotti utilizzati”.
“Per il servizio di consegna a domicilio”, aggiunge Klun, “il titolare della cucina fantasma potrà avvalersi, in via alternativa, della propria organizzazione o di piattaforme operanti nel settore food delivery che dovranno assicurargli l’osservanza delle norme igienico sanitarie relative all’utilizzo di confezioni o materiali adeguati a contenere gli alimenti (moca) e al trasporto in base al Regolamento CE 178/02”.
“Quanto sopra esposto”, conclude l’esperto, “evidenzia la necessità di interventi legislativi che, attraverso regole certe, obiettive ed uniformi, siano in grado di tutelare sia coloro che intendono intraprendere questo tipo di attività, quale modalità emergente e alternativa del servizio di somministrazione alimentare, sia coloro che intendono fruirne”.
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