I Pastori del Roero e la difesa dei prati stabili: la ricchezza celata oltre la vite
SANTO STEFANO ROERO – Si tende a riconoscere con la medesima nomenclatura tutto il territorio che comprende Langhe, Roero e Monferrato. Dal lato pratico, però, i confini sono ben delineati tra queste tre zone per motivi geografici, culturali, ma soprattutto legati alla biodiversità. Il Roero, la parte nord-occidentale della provincia di Cuneo, ha infatti saputo mantenere nel tempo della corsa all’oro la sua attitudine alla diversificazione preservando quello che è il patrimonio locale. Il paesaggio non si mostra come una grande distesa di ordinate e curate vigne, ma più come un’alternanza di molteplici colture.
A sostegno di questa scelta agricola è arrivato anche il supporto di Slow Food, con l’istituzione dei cosiddetti prati stabili. La soluzione ideale per allontanarsi dallo sfruttamento intensivo e monocolturale dei terreni sta nel preservarne la sua identità. Niente semine, arature e trattamenti, solamente falciature, concimazioni naturali e pascoli. A tutelare questo ultimo punto si sono posti in prima fila i Pastori del Roero, azienda agricola di Santo Stefano Roero, capitanati da Paolo Pertusio. Su queste colline hanno deciso di produrre formaggi artigianali in sinergia con l’ambiente.
Un amore viscerale con le proprie origini che traspare nei racconti di Paolo che si racconta a Virtù Quotidiane: “Io e mio fratello eravamo istruttori di equitazione che facevano formaggio di capra per gioco”.
Dopo varie vicissitudini e trasferimenti hanno deciso di dedicarsi solamente a quest’attività: “La nostra produzione è tutta naturale, viene fatta nel modo giusto, scegliendo di non forzare il progetto”. Le ricette sono ancora quelle di 100 anni fa, nonostante i corsi tecnici “che però hanno portato a poco. Il nostro latte non è standard, non è come quello degli allevamenti intensivi che rimane uguale 365 giorni all’anno. Le ricette apprese in questo contesto non funzionavano e così sono diventato autodidatta confrontandomi con chi il latte lo lavora da sempre in queste zone”.
La caratteristica dei prati stabili sta proprio nella differenziazione. Varietà botaniche differenti che seguono i ritmi della natura sono poi in grado di conferire sfumature diverse al latte durante la caseificazione. Tutta questa autenticità la sanno riconoscere gli affezionati clienti che frequentano i mercati rionali dove i Pastori del Roero vendono i loro prodotti.
“I nostri formaggi di capra sono cinque. Lavoriamo sulle stagionature e partiamo dai classici tumin, la lavorazione lattica alla base delle altre preparazioni, fino alla cacioricotta che noi chiamiamo roùnsa – dal dialetto locale rovo per via dell’alimentazione delle capre”. Non sono contemplati i formaggi aromatizzati perché “mio padre diceva sempre che dal macellaio non ti danno mai la carne condita, altrimenti qualcosa non va”.
La purezza e la bontà del prodotto si trasmettono anche attraverso l’Etichetta Narrante, un progetto Slow Food a cui i Pastori del Roero hanno aderito con coinvolgimento. Una comunicazione più romantica da un lato e puntuale dall’altro di cui Paolo si è fatto promotore volendo portarla a un livello successivo, a contatto diretto con il pubblico, superando le barriere del dialogo scritto.
L’azienda ha deciso di puntare molto sul lato esperienziale creando attività che stanno riscuotendo un grande successo con gli stranieri. “Le persone che giungono dall’estero cercano l’esperienza reale, non la spa. Abbiamo deciso di focalizzarci su piccoli gruppi a cui far scoprire il territorio e i prodotti in prima persona, senza intermediari che non conoscono la nostra missione”. Visite ai pascoli e ai boschi e degustazioni all’aria aperta e nei ciabot, le tipiche costruzioni a supporto delle lavorazioni nei vigneti piemontesi, sono parte integrante di un progetto che vede la divulgazione al primo posto.
“Dalla nostra parte abbiamo avuto una posizione geografica strategica. L’essere a pochi passi da Bra – dove ogni due anni si tiene il festival Cheese – e da Pollenzo – sede dell’Università di Scienze gastronomiche – è stato un megafono per noi”.
Un legame a livello locale che è consolidato anche grazie al rapporto con i ristoratori. “Adriano Moretti, dell’azienda agricola Bajaj di Monteu Roero, è stato il primo a credere in noi e oggi gran parte della produzione è destinata al suo agriturismo. Ripenso alle Langhe di settanta anni fa, quando la loro forza era l’unione e oggi è così nel Roero”. Paolo ha una grande preoccupazione per il futuro: veder perso questo patrimonio. “Oggi non esiste quasi più il concetto di slow, tutto è fast. Spero si apra la mente verso il passato e non verso il futuro per recuperare quanto perduto”.
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