Il Moscato d’Asti oltre i dazi. Distillazione di soccorso e nuovi mercati per uscire dalla crisi dello spumante dolce
di Serena Leo

ASTI – Naturalmente a bassa gradazione alcolica e con un ottimo piazzamento sul mercato statunitense (60% dell’export diretto verso gli Usa) ora il Moscato d’Asti Docg sta cavalcando una situazione non proprio rosea, e i dazi imposti dal presidente Usa Trump sono il coronamento di una discesa lenta dei consumi iniziata per congiunture politiche mondiali.
Con Stefano Ricagno, presidente del Consorzio Moscato d’Asti Docg, abbiamo ragionato sullo scenario attuale e incertezze future relative allo spumante aromatico che fa ancora impazzire il mondo, ma che merita di essere presente ancor di più sulle tavole italiane e internazionali.
In America il Consorzio ha sempre avuto una buona voce da oltre 20 anni e i dazi mettono a dura prova un flusso economico certificato, secondo il Presidente.
“Al momento”, dice Ricagno, “siamo in attesa di comprendere se il 30% sui prodotti italiani verrà confermato oppure se la percentuale scenderà a 10%. Siamo in costante contatto con le aziende e i responsabili commerciali proprio per comprendere l’impatto sul prezzo finale del prodotto”.
Un dato che pone il Consorzio verso nuove soluzioni che convergono inevitabilmente nell’esplorare nuovi mercati: “Bisogna aprire alla Cina, cosa che non è stata semplice negli anni precedenti in modo da attutire il colpo, ma a tutto ciò si aggiunge a una situazione già in sofferenza per l’Asti poiché la precedente chiusura verso la Russia e ora verso l’America, ci porta a dover adottare misure non piacevoli per tutta la filiera in modo da limitare i danni. Non basta solo dirigersi per altre vie”.
I dazi certamente non sono una tegola caduta improvvisamente sulla testa dell’agroalimentare italiano, anzi, se ne parla già dall’insediamento del tycoon alla Casa Bianca. E se durante l’ultima edizione del Vinitaly si cercava di venire a capo attraverso accordi con gli importatori, oggi vanno rifatti i conti anche in casa.
“Bisogna saper giungere a un compromesso conveniente per entrambe le parti, per le trattative si sta procedendo con gli organi rappresentativi del comparto vitivinicolo italiano”, ragiona Ricagno.
E sono ore di concitazione generale, soprattutto con la pubblicazione dell’ultimo report Uiv che vede il vino italiano soffrire nell’ultimo quadrimestre. Infatti con i dazi statunitensi e le tensioni in Russia, progressivo declino della domanda cinese, calo del potere di acquisto e dei consumi, il trend è destinato ancora a peggiorare nella seconda parte dell’anno.
Le parole d’ordine adottate per il Moscato d’Asti in questo caso sono: distillazione di soccorso e pegno rotativo, uno strumento finanziario che consente di rendere il vino una garanzia per ottenere liquidità dalle banche.
“Se si parla di distillazione di soccorso non è certamente una novità e non saremo gli unici a ricorrere a questo strumento in Regione, c’è anche il Dolcetto e il Barbera. È una situazione di crisi generalizzata e profonda che ora merita riflessioni importanti. Per quanto riguarda il pegno rotativo invece, stiamo lavorando con gli enti preposti per rientrare in questi finanziamenti poiché l’Asti è in una posizione particolare. Infatti una volta pigiato il mosto è caricato sui registri come mosto parzialmente fermentato atto a divenire Moscato d’Asti e Moscato d’Asti Docg, non incluso tra i possibili prodotti finanziabili. Modificando questa normativa riusciremmo ad avere liquidità, supportare l’effetto negativo economico”.
La distillazione secondo il Consorzio del Moscato non è un nodo semplice da sciogliere, tant’è che si punta a riconoscere l’80% del valore di mercato di un prodotto che di fatto vale massimo 2 euro a litro. “Abbiamo bisogno di fondi che non ci facciano svalutare il prodotto di fatto già pagato agli operatori della filiera. In questo modo tuteleremo il loro lavoro e si ottimizzerebbero le risorse già spese”.
E se in tutto questo caos anche i dazi in aumento dovessero essere confermati, secondo il presidente il danno causato alla filiera dell’Asti sarebbe quantificabile in 50-60 milioni di euro con una ricaduta spalmata sui prossimi 3 anni circa.
“Il nostro prodotto però, risponde ai canoni di un mercato attuale, pertanto merita attenzione. Sviluppa massimo 7 gradi di alcol e minimo 5,5%, quindi siamo davanti a un low alcol naturale. Inoltre la parte zuccherina è positiva per alcuni mercati, ma non è di immediata collocazione, bisogna pur sempre raccontarlo per venderlo. Oggi nei mercati storicamente affezionati il Moscato soffre, come succede in Germania, ma piace nella penisola scandinava e centro Europa”.
E se si guarda alla situazione “casalinga” anche l’Italia lo apprezza, ma non più come una volta: “Cambiano gli stili di consumo, la capacità economica del consumatore e la voglia di fare attività in un mercato pigro. Nel nostro Paese le bollicine aromatiche con residuo zuccherino dolce resistono, ma sono in sofferenza”.
In una situazione concitata come questa si pone il silenzio delle istituzioni italiane e lascia un po’ perplessi anche il Consorzio. “Lasciar perdere l’America del tutto non si può, certo è un monito per trovare altri mercati, perché a volte il comfort di dire che va tutto bene significa rilassarsi e perdere il polso della situazione. Ora siamo nelle condizioni di doverci mettere alla ricerca di nuovi lidi che possano soddisfarci come hanno già fatto gli Usa negli anni con vendite tanto a volume quanto a valore. Bisogna rendersi conto che la vendita del vino funge da altalena e noi ci siamo su”.

Stefano Ricagno
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