Cronaca 06 Nov 2024 18:47

Langhe, L’Astemia cambia nome e marcia. Intervista al nuovo direttore commerciale Marco Cossaro

Langhe, L’Astemia cambia nome e marcia. Intervista al nuovo direttore commerciale Marco Cossaro

BAROLO – È l’azienda delle Langhe anticonformista per eccellenza, nata per iniziativa di una donna fuori dagli schemi, Sandra Vezza, presidente di un celebre marchio del design, e che a inizio millennio decide di tornare nei suoi luoghi natali, dichiarandogli il proprio amore, e investendo in quelle terre dove il nonno l’accompagnava a passeggiare.

Sono passati quasi 15 anni dalla prima vendemmia del 2010 de L’’Astemia Pentita (volutamente con due virgolette al posto dell’apostrofo), e l’azienda si sta rinnovando, a cominciare dal nome diventato “L’’Astemia”, per seguire le nuove tendenze dei consumatori.

Per farlo si è affidata a Marco Cossaro, giovane manager veneto che abbiamo incontrato qualche giorno fa visitando l’azienda (di cui vi racconteremo in seguito), e a cui abbiamo rivolto un po’ di domande sulla sua esperienza iniziata ad aprile.

Possiamo considerarla nuovo tra i langaroli, si presenti e ci racconti quello che ha fatto nella vita fino ad oggi.

Sono nato e cresciuto a Venezia, città in cui ovviamente ho lasciato un pezzo di cuore, e che ho deciso di lasciare per provare un po’ a raggiungere il mio sogno di poter cambiare le cose. Ho iniziato gli studi di economia internazionale, per poi specializzarmi in politica economica, e che mi hanno portato a trasferirmi a Berlino, dove ho iniziato a studiare alla business school, e a imparare anche un po’ di tedesco, che ovviamente ho dimenticato alla velocità della luce. Pur molto convinto della mia scelta, mi sono però ritrovato in un contesto che era diverso da quelle che erano le mie aspettative. Raccontavo un po’ di questa situazione ai miei amici di sempre, fino a quando uno di loro mi ha fatto notare che forse stavo trascurando una delle certezze più grandi che avevo, ossia il mondo del vino, ma anche il mondo della gastronomia in generale, che hanno sempre fatto parte del mio cuore. Fin da giovane ho sempre organizzato cene con gli amici, dove io mi ingarbugliavo a trovare prodotti e vini particolari, che poi a volte colpivano, a volte no, a volte interessavano, a volte no, però lo facevo principalmente per la mia curiosità. Arrivato quindi a 23 anni ho deciso di fare una cosa solo ed esclusivamente per me, ho cambiato tutto e ho scelto di spostarmi nelle Langhe. Avevo bisogno di un posto che potesse conciliare gli studi che avevo fatto in precedenza, e questo posto l’ho trovato nell’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo, con una magistrale ulteriore, che ho fatto proprio perché non volevo sacrificare il cursus precedente. Un’università che mi ha permesso di conoscere subito tantissimi rappresentanti e promotori di questo magnifico territorio e su cui ho iniziato fin da subito a lavorare, fiondandomi letteralmente nel mondo del vino come commerciale, lavoro che ho fatto per cinque anni, grazie anche a un primo imprinting avuto appena diciottenne in Laguna a Venezia, presso il Venissa, di proprietà della famiglia Bisol, e in cui ho lavorato nell’anno della transizione e l’acquisizione con il gruppo Lunelli. Dopo questi cinque anni, quasi sei, sono stato contattato dalla famiglia Vezza, che aveva bisogno di un responsabile commerciale che si facesse carico di questo cambio, di questo passo di maturità che l’azienda voleva, e doveva, fare. Doveva, perché in programma c’era l’entrata in funzione di questi ettari nuovi acquistati, già vitati, e che ci porteranno nel 2029 a produrre circa 150.000 bottiglie. Questo ci ha messo davanti a una scelta che era, sì, quella di confermare un po’ la nostra posizione, ma anche di far capire a che punto era arrivata L’’Astemia Pentita.

Conosceva già L’’Astemia?

Si certo, l’azienda la conoscevo già.

E conosceva anche le polemiche che erano sorte quando era nata? Dovute alle caratteristiche “pop”, “anticonformiste”, nel cuore della zona più conservatrice delle Langhe. Due enormi parallelepipedi, la collina super contesa, che rappresentavano due cassette di vino sovrapposte, e dove il design la faceva da padrone, o le bottiglie a forma di donna e uomo stilizzati pensate per il Barolo, fecero gridare allo scandalo chi per anni aveva visto quel territorio come austero e tradizionalista.

Sì, conoscevo anche le polemiche che c’erano state negli anni. Forse ho sempre visto le cose in una maniera un po’ diversa, o semplicemente con più leggerezza, perché io non sono nato qui, anche se comprendo perfettamente quello che possono essere state le polemiche. Perché penso che questo territorio abbia tutto ciò che ha proprio per il carattere così distintivo che c’è qui nelle Langhe, e che lo protegge tuttora da tutti gli interessi esteri che ci sono. È uno dei pochi territori in cui ritrovo ancora questo attaccamento alla terra, e di conseguenza per forza si parte prevenuti su qualcuno che vuole fare qualcosa di diverso. Però quello che mi ha convinto è proprio la famiglia Vezza, perché Sandra è una donna di Langhe, non è una donna del mondo del vino, ma è una persona che ha investito tantissimo nel suo territorio, contando 27 ettari vitati e tutto il resto, visto che si parla anche di bosco, di nocciole e di altre proprietà. E parlando sia con Sandra Vezza che con Charley Vezza (figlio di Sandra, ndr), ho capito veramente che c’era un attaccamento, un legame a questo progetto, che è nato con L’’Astemia Pentita e che adesso viene rappresentato in maniera più matura con L’’Astemia, con un insieme di persone che è stato messo insieme dalla famiglia, affinché portassero avanti la loro idea.

Arriviamo al punto più importante e curioso. Come mai questo cambio di nome?

È una presa di coscienza, è un’idea che io ho subito spinto e promosso all’interno dell’azienda, un’idea che viene dalla famiglia ma che ho sposato fin da subito perché L’’Astemia non ha nulla di cui pentirsi. Prima di tutto perché, dicendolo anche col sorriso, Sandra Vezza è astemia, non è pentita, non beve veramente. E poi perché sono state fatte delle scelte, a volte provocatorie, a volte invece desiderate, proprio perché era la loro visione estetica di quello che voleva essere per loro il vino fatto da loro. E questi anni sono serviti per imparare, perché siamo un’azienda giovane, siamo un’azienda che non può raccontare di aver fatto la prima bottiglia di Barolo o che il bisnonno della famiglia era tra i primi produttori. Non è una storia che potevamo narrare, quindi bisognava raccontare il valore che cerchiamo di portare nelle nostre bottiglie, nel calice, e dovevamo farlo in maniera diversa. L’’Astemia non è più pentita perché è maturata, ha capito cos’è che serve a rappresentarsi al meglio e cosa serve per portare avanti questo progetto. Questo si concilia con tre cose. La prima è la certificazione biologica di tutti i vigneti, il secondo è una bottiglia più fruibile, quindi più leggera, di una dimensione adatta per tutti, un’etichetta chiara che comunque rappresenta sempre l’identità che era già de L’’Astemia Pentita. E il terzo è la scelta di una produzione sempre più di qualità.

Quando è nata, e da quando è nata L’’Astemia, è stata sempre considerata un’azienda anticonformista rispetto ai produttori delle Langhe. È ancora così?

Forse è ancora così, però meno, nel senso che sono cambiate tante cose, dall’inizio in cui i lavori sono iniziati per la cantina, che fin da subito hanno scaturito tanto interesse, quanto scetticismo. Dal 2010 ad oggi è cambiato il mondo, ancora di più dopo il Covid, e già adesso si vede, si parla sempre di più delle difficoltà del settore enologico di raggiungere nuovi consumatori, della necessità di comunicare il vino in maniera diversa, la necessità di presentarsi in maniera diversa, sempre portando i valori e le qualità di questo territorio. Questa deve essere una cosa imprescindibile. Quindi sì, lo è ancora anticonformista.

Dieci anni fa forse era L’’Astemia che cercava di seguire la via dei langaroli. Adesso è il contrario? Sono i langaroli che vi seguono?

No, direi di no.

E per ciò che riguarda l’innovazione, il modo di concepire e di comunicare il vino, o anche gli stessi rapporti umani che per voi sono fondamentali?

Una domanda molto interessante. Io penso che ci siano delle persone in Langa, già prima de L’’Astemia, che hanno veramente permesso a questo territorio di avere il successo e la fortuna che ha, e noi stessi partiamo dai presupposti, dalle basi, dalle fondamenta, che hanno creato loro, questo non lo dimentichiamo mai. Quello che cerchiamo di fare noi è solo di comunicarlo in maniera diversa e questo parte anche da una voglia di cambiare le cose, di cambiare la percezione di quello che può essere l’austerità di questo territorio, un’austerità che deve e che può coesistere con l’idea dell’’Astemia, ma che non deve spaventare il nuovo e il giovane. Anzi, noi dobbiamo incentivare, dobbiamo fare l’opposto e quindi ogni tanto proviamo a parlare in maniera un po’ più semplice di tutto quello che viene fatto qui.

Questo va a ricollegarsi alla prossima domanda. Il futuro delle Langhe, cosa si aspetta?

Io penso che il futuro delle Langhe, prima di tutto, sia in buone mani, perché vedo persone che ci credono. E parlo sia dei produttori, sia di chi ci abita. Io non ho mai conosciuto persone che credono veramente così tanto in un territorio, e ci tengono a proteggerlo, a volte anche in maniera veramente aggressiva – Marco lo dice sorridendo – ma è la fortuna delle Langhe questa. Quindi io credo che ci siano ottimi presupposti per un futuro roseo. Quello che non bisogna mai dimenticare è la fortuna che abbiamo, di poter presentare il nostro territorio con una relativa facilità in tutti i continenti, e questa è una cosa che deve essere preservata, mantenuta ma anche rinnovata. Non investire, non cambiare, vuol dire fermarsi e vuol dire rallentare e perdere la reputazione e il posizionamento che abbiamo ora. Per questo, secondo me, quello che stiamo provando a fare noi, nel nostro modo, magari fatto anche in modi diversi, è fondamentale.

Lei arriva dal Veneto, la regione del Prosecco, che ha avuto un successo planetario in questi ultimi dieci anni. Quali sono le differenze, o le similitudini, di politica e di visione, tra il loro Consorzio e quello delle Langhe? Pensa che sia una via da seguire quella che ha fatto il Veneto con il Prosecco?

Sono storie molto diverse, quindi inevitabilmente ci sono strategie e visioni diverse. Mi piace dire in maniera un po’ scherzosa che, secondo me, i veneti non se la cavano tanto male, anzi hanno sempre avuto un approccio diverso su quello che è l’accoglienza, la qualità del servizio e la rappresentazione sul mercato. Io penso che il consorzio del Barolo e Barbaresco stia facendo un buon lavoro, e non penso che per forza debba seguire gli stessi passi, perché comunque qui noi parliamo di due referenze, due prodotti completamente diversi da quello che è il Prosecco. Seguiranno sempre due strade diverse, poi magari sono mercati che seguono a volte la stessa distribuzione, ma che vengono consumati e distribuiti in maniera completamente differente. Penso che si stiano facendo i passi giusti, però bisogna continuare a insistere, a fare degli investimenti strutturali a livello di territorio per poter avere gli strumenti per superare quelli che sono i rischi del cambiamento climatico, ed essere veramente preparati a gestire le situazioni di emergenza. Forse in questo al momento il Veneto, anche grazie alla capacità di investimento che ha ottenuto negli ultimi anni, è più avanti, però è una situazione chiara a tutti e questo di sicuro è un ottimo inizio per portare dei risultati.

Ultima battuta, come sta un veneto tra i langaroli?

All’inizio non è stato così semplice, però alla fine si diverte tanto, perché ho la fortuna di prendermi poco sul serio. Quindi in realtà ci sta bene, anche perché io ho trovato l’amore qui, vivo qui e sto comprando casa qui, quindi forse l’hanno vinta i langaroli.


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