Personaggi 17 Mag 2025 15:54

“Il mio approccio al vino? Intimo e con tutti i sensi. Amo i racconti dei contadini”. Parola a Daniela Franciosi maestra del calice

“Il mio approccio al vino? Intimo e con tutti i sensi. Amo i racconti dei contadini”. Parola a Daniela Franciosi maestra del calice
Daniela Franciosi

AVEZZANO – “Mi piace raccontare quello che fa il produttore del vino e metterlo in collegamento con altre dinamiche, faccio da tramite, restituisco la sua voce, la riporto in carta”.

Premiata lo scorso marzo a Milano da Forbes Italia tra i Maestri del Calice per la Carta dei vini più originale nella proposta, l’abruzzese Daniela Franciosi, sommelier e responsabile di sala del ristorante Mammaròssa di Avezzano (L’Aquila), progettato e guidato dal fratello, chef Franco Franciosi, racconta la sua visione professionale in questa intervista con Virtù Quotidiane.

Daniela, un riconoscimento importante che onora l’Abruzzo e la Marsica. Come si diventa Maestra del Calice?

Direi per coincidenze e fortuna, per fortuna intendo che qualcuno si accorga il tuo lavoro e abbia le capacità di capirlo. Sono convinta che tanti facciano un bel lavoro, la difficoltà è poi farlo emergere. Io ho avuto la fortuna di non sfuggire all’occhio attento e critico di Alberto Cauzzi (presidente di Passione gourmet, ndr), evidentemente ha capito il messaggio tra le righe nella mia carta dei vini. Una cosa bella che mi gratifica.

Qual è il suo messaggio nella bottiglia?

Quando io e mio fratello Franco abbiamo iniziato questo percorso, sentivo forte il desiderio di restituire ciò che andavo scoprendo. Frequentando le fiere e le degustazioni, assaggiavo i vini insieme ai produttori, spesso persone che avevano segnato, e continuano a segnare, la storia della viticoltura, italiana e non solo. Quello che mi colpiva non era solo il vino, ma l’esperienza dell’incontro: il racconto, la passione, il contesto. È questo che ho sempre avuto voglia di riportare ai clienti. Più che analizzare un vino scomponendolo in colore, profumo e struttura, mi interessava trasmettere la vita che c’era dentro una bottiglia.

Focus sulle produzioni di nicchia, il racconto della terra: una scelta di campo netta?

Le grandi maison si vendono da sole, non è quello il focus del mio racconto. Mentre il piccolo produttore che decide di fare un vino aderente al territorio fa un po’ più di fatica, si prende i suoi rischi lavorando senza chimica né solforose eccessive, per contro restituisce un prodotto espressione di quel particolare tipo di territorio che sia Valle peligna, Langhe o Borgogna. Vini anche un po’ rari che non trovi a scaffale perché non hanno i numeri per arrivarci, piuttosto nella nicchia dell’artigianale /naturale, prodotti da contadini che ti parlano con l’uva tra le mani. Insomma vini che non passano per il commerciale e le ordinazioni via email, piuttosto gente che ti chiede quanto te ne occorre e magari ti porta le bottiglie di persona quando possibile, che ti racconta perché quell’annata è andata in un certo modo. È questo che rende vivo il vino e affascinante, il lato intimo e profondo che a me piace.

Com’è nata la sua passione per il vino?

In modo davvero particolare. Agli inizi, ormai 14 anni fa, non era in progetto che io lavorassi alla cantina e sala del ristorante. Il progetto di Franco nasceva dal desiderio di raccogliere la vocazione della nostra bisnonna cuoca originaria di Fossa (L’Aquila) che aveva lavorato in Francia. Mammaròssa era il nomignolo per chiamare la “mamma grande”, la bisnonna appunto, da qui il nome dato all’attività. Facciamo qualcosa insieme, diceva Franco. Io, a parte un lontano corso del Gambero Rosso sui vini, mi occupavo della parte amministrativa ed eravamo in cerca di un sommelier a cui affidare vini e sala. Era un problema reclutare personale anche allora, così feci un altro corso per addentrarmi nella materia con Sandro Sangiorgi di Porthos e fu lì che restai folgorata. Ho amato il suo approccio alla materia e al calice in maniera unitaria, senza vivisezionare il vino. Da allora sono assidua frequentatrice di Porthos, seminari, incontri con i produttori, degustazioni. Quello è l’approccio che più mi appartiene.

Una sensibilità (per il vino) che le si è rivelata quasi inaspettatamente.

Sì. Tanto è vero che ho cominciato a condurre serate di degustazione con lo stesso approccio intimo. Il fatto di non conoscere le bottiglie che andiamo a degustare è un modo per andare oltre l’etichetta. Se degustiamo vini blasonati piaceranno a tutti nessuno escluso. Quando sei nudo ovvero senza preconcetti di fronte al liquido odoroso devi far affidamento solo al tuo gusto e al tuo olfatto, il naso non tradisce. L’olfatto va riscoperto, è un senso potente ma troppo spesso messo da parte.

La sua è una carta di ricerca coerente con la filosofia di cucina del Mammaròssa, quanta parte occupa l’Abruzzo?

L’Abruzzo è ben presente, ci sono i nomi più rappresentativi e ci sono i piccoli artigiani, non tutti perché sono davvero tanti e in continua crescita qualitativa, perciò li faccio girare per includerli un po’ tutti, anziché aggiungere nomi su nomi in elenco (il famigerato mattone!) dove il cliente finisce per perdersi. La nostra è una carta libera dove c’è quello che deve esserci, ma snella.

Quali tendenze riscontra nelle richieste della clientela?

Devo dire che l’abruzzese dell’interno beve abruzzese, è fedele all’appartenenza. Chi viene da fuori vuole bere abruzzese, giustamente. A me piace dividere l’Abruzzo per longitudini: entroterra e costa divise dall’Appennino. Che sia Trebbiano, Cerasuolo o Montepulciano d’Abruzzo il vino della valle peligna non può essere uguale a quello delle colline teramane o aprutine e della costa abruzzese, la differenza la fa il terroir e per fortuna. La cosa bella è far apprezzare la differenza di caratteristiche e caratteri, talvolta i vini somigliano ai loro produttori. E io mi diverto a proporre il wine pairing abruzzese, una sorta di tour nei luoghi e nelle espressioni.

Quanto c’è ancora da esplorare enologicamente in regione?

In Abruzzo tanta strada è stata fatta ma possiamo crescere ancora tanto, spero non in quantità ma in qualità certamente, in senso di originalità e personalità. La differenza arricchisce. Il fatto che ci siano tante aziende vitivinicole nate di recente su terreni abbandonati è bello, un richiamo inevitabile per tanti giovani laureati che raccolgono l’esperienza degli anziani e su questa innovano, mettono il proprio, i propri studi. Il nostro conterraneo Silone diceva che il vino è nutrimento.

Quanto è stretto il suo/vostro rapporto con il territorio?

Franco ha voluto aprire ad Avezzano per un motivo preciso, i prodotti della Marsica non sono minimamente valorizzati. Ci è sembrata una scelta coerente. Un cuoco che non è solo un cuoco, come Franco, ha uno sguardo più ampio. Lui ha voluto portare l’attenzione su una parte di Abruzzo interno trascurato e per giunta con scarse tradizioni gastronomiche se pensiamo che fino al 1800 ad Avezzano c’era un lago. Prodotti poveri ma sempre presenti sono i legumi, le lenticchie in modo particolare, e le patate del Fucino. Valorizzare prodotti poveri tì qualifica. Ma non siamo integralisti, perciò prendiamo altrove quello che serve e lo personalizziamo con quanto offre, per esempio, l’allevamento locale. Premesso che i piatti di Franco si tengono bene in piedi da soli, i vini che ho messo in carta sono pensati per reggere il carattere del menu degustazione con le sue sfumature. Spesso sono abbinamenti per concordanza, a volte per contrasto, ma sempre con un pensiero dietro e normalmente un gradino più sotto del piatto in modo da non sovrastarlo.

Cosa c’è nel futuro di Mammaròssa?

È in fase demo la Vineria Mammaròssa dove mangiare qualcosa di semplice e veloce, anche a pranzo, accompagnando con calici alla mescita, anche bollicine abruzzesi una proposta poco conosciuta ma ben apprezzata dalla nostra clientela soprattutto da fuori regione.

Del mondo dealcolato cosa pensa?

Mi sembra una moda per vendere, un fuoco di paglia. In realtà di cose buone e fatte bene ne abbiamo da vendere, il vino interpreta la nostra cultura dai tempi dell’antica Grecia, è tradizione millenaria.


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