RISTORANTI SENZA SALA, LA NUOVA FRONTIERA “FIGLIA” DEL COVID

ROMA – È sotto gli occhi di tutti il fatto che la pandemia ha cancellato molte attività di somministrazione alimentare. Ciò nonostante non sono mancate nel settore significative innovazioni, prima fra tutte l’affermazione delle insegne virtuali.
In particolare – rileva Alessandro Klun, autore di diversi testi sul diritto della ristorazione (come quello nella foto sotto) – il ricorso sempre più ampio al food delivery ha determinato un aumento esponenziale di format ristorativi senza sala.
Sentiamo sempre più spesso parlare di cloud, ghost o dark kitchen, per indicare differenti modalità di proporre e somministrare pranzi o cene da asporto o a domicilio generalmente operanti su piattaforme di delivery o proprietarie.
Il tratto comune a queste realtà è senza dubbio rappresentato dal fatto che si tratta di attività che non fanno somministrazione in loco, per cui, senza coperti, sviluppano una proposta gastronomica sfruttando la capacità produttiva della sola cucina.
Vediamo in rassegna le singole fattispecie.
Innanzitutto, si parla di Dark Kitchen per indicare una cucina deputata alla preparazione di piatti destinati solo al delivery operante all’interno di un ristorante, hotel, pub…già esistente.
Si definisce invece Ghost Kitchen una cucina che, senza accesso al pubblico, opera ex novo ed è esclusivamente dedicata alla produzione di cibo per delivery e take-away. In funzione dell’attività svolta può essere indipendente, se lavora per un solo marchio per il quale sviluppa una tipologia di proposta; multibrand, se offre differenti stili di cucina; ibrida se, stagionalmente, offre per uno o più brand servizi sia di delivery che di takeaway destinato al pubblico.
Si parla infine di Cloud Kitchen per identificare un modello il cui funzionamento si basa sul cosiddetto “coworking”, ossia sulla presenza in un unico spazio di più strutture destinate alla preparazione di piatti, tra loro autonome, operanti in spazi comuni ma divisi, in cui sviluppare, con costi ridotti, la propria proposta.
In conclusione – osserva Klun – si tratta di fenomeni accomunati da una nuova dimensione per così dire domestica del consumo alimentare, che paiono definitivamente affermarsi in quanto idonei a soddisfare nuovi e/o mutati bisogni e stili di vita di clienti sempre più digitali.
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