Cantine e vini 21 Lug 2023 19:36

“Facciamo scoprire al mondo il Cerasuolo d’Abruzzo”, parola di Enzo Scivetti, giudice internazionale del vino

“Facciamo scoprire al mondo il Cerasuolo d’Abruzzo”, parola di Enzo Scivetti, giudice internazionale del vino

PESCARA – Vincenzo Scivetti, giudice internazionale del vino e docente Onav in tutta Italia, tra i supertecnici coinvolti in giuria nei quattro giorni di “Anteprima Gironi Divini” diffusa in quattro centri rappresentativi del mondo vino Abruzzo. Con Virtù Quotidiane l’esperto barese ha commentato novità e tendenze “apprezzando” tiene a premettere “il lavoro che si sta facendo in Abruzzo. Un fatto indiscutibile”.

Scivetti, quale la sua impressione sulla new wave del vino in Abruzzo?

I giovani produttori stanno dando un senso nuovo alle produzioni lavorando in modo artigianale, cosa che enfatizza diversità di vitigni e di terroir. È confortante perché offre una panoramica attenta per l’analisi dei prodotti del territorio e per far sì che elementi territoriali riescano a emergere come fattori distintivi delle varie zone di produzione in Abruzzo.

Le nuove espressioni possono essere un modo per rivalutare la tradizione delle uve tipiche del territorio?

L’Abruzzo vanta vitigni di forte tradizione di qualità spesso adombrata dalla produzione industriale che ha modificato un po’ le cose ponendo in primo piano prodotti fatti come vuole il mercato internazionale più che il mercato locale più attento alla riconoscibilità dei valori del territorio. In questo caso trattandosi di numeri piccoli si dà più riscontro all’espressività del vitigno di territorio, cosa molto interessante. Non ho trovato vini con particolari coperture tecnologiche o distratti da un lavoro tecnico, piuttosto ho trovato vini molto sinceri, magari non tutti perfetti tecnicamente, ma in quel tipo di produzione ci sta.

L’Abruzzo per sua natura, conformazione geografica e microclimi si presta a una vitivinicoltura di qualità. Un dato di fatto?

Indiscutibilmente, se ne parla da millenni. L’Abruzzo è uno dei serbatoi enologici d’Italia, come Puglia e Sicilia, territori che danno ragione di esistere ad altre regioni, figuriamoci per se stessi.

Il Cerasuolo d’Abruzzo rivisita il disciplinare di produzione e fissa tonalità di colore che interpretano la tradizione, lasciando comunque spazio al rosato leggero. Come la vede?

C’è confusione totale. Il disciplinare nasce da un consorzio di produttori, consorzio che volendo può modificare il disciplinare stesso. Certo i produttori devono essere consapevoli del fatto che il Cerasuolo è una tradizione e non è necessariamente mercato. Un vino con caratteristiche di valore elevatissime che hanno una destinazione d’uso diversa da quella che il mercato internazionale richiede in questo momento, rosati pallidi da bere senza pensare, magari ghiacciati, ponendo in evidenza solo la bevibilità e non la qualità del prodotto. Una grossa fetta di mercato che non deve essere trascurata dai produttori abruzzesi, però uscendo possibilmente come “Rosato Abruzzo” e non come “Cerasuolo Doc”. Il Cerasuolo va preservato perché è un vino estremamente attuale nella ristorazione e negli stili di consumo, di questo bisogna rendersi conto. La cucina attuale non richiede più in abbinamento grandi rossi di una volta, ancora prodotti, vini che non trovano spazio a tavola se non per un consumo limitatissimo. Il Cerasuolo entra in quel segmento offrendo un vino che a tavola dà grande soddisfazione con quel senso di polpa, frutto, caratteristica dei grandi rosati del Sud che già nel vigore del colore dimostrano grande ricchezza espressiva; da non bere peraltro ghiacciato ma a una temperatura che sappia far apprezzare tutto ciò. L’Abruzzo disponendo di una denominazione dedicata dovrebbe sforzarsi di comunicare al mondo intero che questo nuovo vino per la tavola si abbina idealmente con il pranzo che sia di carne, pesce o verdure. Un vino passepartout forte di un frutto e di una bevibilità assoluta che rende onore al terroir e al lavoro fatto in vigna. Essendo un vino più strutturato riesce ad avere sfumature qualitative molteplici che catturano non solo il bevitore ma anche il consumatore attento all’espressività, che cerca un vino che non lo annoi, piuttosto cerca in ogni sorso una ragione in più per farne un altro, che beve non solo per dissetarsi.

Cerasuolo d’Abruzzo vino del futuro, insomma…

Sono fermamente convinto di questo. Di questi tempi il raffronto tra rosati si fa sempre con la Provenza, dove esistono due enclave di rosati molto scuri stile Cerasuolo d’Abruzzo, l’Aoc Tavel e Bandol che non trasgrediscono da quel concetto, sono colorati , intensi, con una destinazione d’uso e un proprio fascino simile a quello del Cerasuolo, non esiste un Bandol o un Tavel pallido! Alla regione Abruzzo unita dico: prima che il mondo riscopra l’appellazione Tavel e Bandol facciamogli scoprire il Cerasuolo. Occorre un’attività di comunicazione molto forte, è ciò che possiamo fare noi addetti , ma se la regione Abruzzo lo fa in prima persona il messaggio diventa molto più forte. Qualcuno ha polemizzato adducendo che il Cerasuolo da esportare in America riportasse sulla retroetichetta “red wine” collocandolo nella categoria dei rossi, che completamente sbagliato non è. Se l’avessero chiamato “light red wine” sarebbe stata una dicitura più propria perché il Cerasuolo è una via di mezzo tra rosso e rosato con la grande capacità di essere abbinabile.

Altra storia il Pecorino, ruggente bianco di montagna – la dorsale piceno-aprutina come insegna il prof Leonardo Seghetti – dal grande potenziale su cui l’Abruzzo punta.

È uno dei grandi vitigni nazionali che fanno grandi i vini bianchi d’Italia. Sta all’opposto del Trebbiano, se quest’ultimo è un vitigno che sussurra, che parla al cuore con delicatezza quando è fatto bene, il Pecorino è impetuoso, un mare con una certa forza e dinamicità. Parliamo di un vino bianco sensato che in Abruzzo avrebbe bisogno di un po’ di studio agronomico per far sì che con il global warming non si tenda ad avere un vino iperstrutturato e molto alcolico, dandogli invece quella bevibilità che gli conferisce anche eleganza espressiva. Essendo un vitigno veramente difficile da gestire in vigna si tende a raccoglierlo a uno stadio di maturazione più avanzato perdendo così un po’ dell’appeal nel consumo. Bere di meno non è sbagliato ma non è nell’interesse dei produttori!

Come giudica la scelta di investire della regione sulla spumantizzazione degli autoctoni?

Ne parlo spesso nelle mie lezioni. Fino a tempi recenti fare bollicine in Italia era prerogativa delle zone fredde, non perché potessero farlo meglio ma semplicemente perché potevano fare solo quello. I vini delle zone del Nord raggiungono i 9,5-10 gradi di alcol, nessuna capacità di preservarsi nel tempo se non con la rifermentazione con aggiunta di zucchero. Noi al Centro e Sud abbiamo la possibilità di fare grandi vini fermi, per le bollicine si tratta di raccogliere le uve in un tempo molto anticipato per far sì che si raggiunga la stessa caratterizzazione delle uve dei vini del Nord che non giungono a maturazione. Con la giusta esperienza si fanno grandi bollicine in tutti i territori, lo sta dimostrando l’Abruzzo, la Puglia, la Sicilia, la Campania e così via.

Il marchio collettivo Trabocco Spumanti Abruzzo Doc darà l’opportunità di chiudere la filiera sul territorio, ricchezza che rimane in casa, dignità per il lavoro del viticoltore. Quale il suo giudizio complessivo.

Positivo, naturalmente. Se il prodotto esce in commercio con una designazione territoriale fatta ad hoc per il territorio e non per altre regioni, la ricaduta economica è sul territorio. Se dovesse partire per altre zone Passerina in cisterna sarebbe a 30-40 centesimi al litro, se invece viene venduta una bottiglia di Passerina Metodo Classico , o anche Charmat e il produttore incassa 6, 7, 10 euro, una bella differenza, è reddito per il territorio, per chi ci lavora. Al di là del claim l’dea mi sembra interessante, si dà un’immagine del vino associata a una delle più belle immagini della costiera abruzzese, e poi dà un’idea d’uso estivo, da mare. Magari potrebbe penalizzare qualche espressione di Metodo Classico ma penso che in fin dei conti sia una bella immagine. L’Abruzzo, tutto il Sud, siamo terra del sole e vino buono in tutte le espressioni.

La crisi però morde, le cantine sono piene di vino invenduto.

In proposito mi sono fatto delle ragioni. Nel vino durante la pandemia siamo passati da mesi di crisi totale a mesi di vendite esponenziali con bilanci in attivo senza precedenti. Probabilmente le cantine hanno pensato che questi incrementi si fossero consolidati e non hanno pensato che la casualità dell’evento Covid avesse spostato i volumi di vendita, ritrovandosi sovraccariche di vino. La cosa brutta è che quest’anno avranno molto probabilmente modo di pareggiare essendo la vendemmia funestata dalla peronospora, ci sarà una raccolta nettamente inferiore rispetto al recente passato.


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