Produrre Fiano di Avellino e Teroldego in Toscana non è più un tabù. Il caso di Gianni Moscardini
di Serena Leo

SANTA LUCE – Basta con la solita territorialità quando si parla di vino. Questo è ciò che Gianni Moscardini, agronomo e volto dell’omonima azienda agricola nel Pisano, vuole comunicare. Siamo a Pomaia, frazione di Santa Luce (Pisa) in Toscana dove la tradizione fa da padrona, ma quando si parla di innovazione c’è ancora necessità di visione.
Ecco come Gianni riscrive il concetto di vino regionale, con assoluta consapevolezza, servendosi non solo dei grandi classici regionali, ma anche di qualche outsider pronto a diventare la curiosa punta di diamante della gamma di produzione aziendale. Su tutti ci ha ispirato e incuriosito il blend tra Fiano di Avellino e Vermentino, il suo nome è Artume. Da qui siamo partiti per un vero e proprio viaggio alla scoperta del lavoro del Moscardini.
Agronomo dal 2000, vignaiolo dal 2008. L’azienda, che conta solo 70.000 bottiglie all’attivo ma in prospettiva ne vede 100.000, esprime vini artigianali e insoliti. Tutto è cominciato dalla pratica, dai terreni di famiglia fino alle consulenze agronomiche nel territorio di Bolgheri, una delle palestra più importanti per Gianni Moscardini. E poi la svolta.
“Durante gli anni di consulenze ho sempre avuto l’idea di fare qualcosa di davvero innovativo, ma non tutti gli imprenditori sono pronti a mettersi in gioco in maniera audace. Per questo ho pensato di metterci la faccia. Avevo voglia di parlare della Toscana inedita, diversa dal solito, portando novità. Ecco quindi, ho sperimentato vitigni autoctoni di altre regioni su suolo toscano, ovviamente dichiarandoli in modo dovuto – continua l’agronomo – . Ho lavorato sul Teroldego che conferisce una forza impressionante ai miei vini, distinguendoli dagli agli, così come il Fiano campano. In poche parole ero stufo della solita minestra”.
Una riflessione che unisce sacro e profano per Gianni e apre la visione a sperimentazioni del tutto differenti, ma pur sempre di successo. Ciò non vale solo per i rossi, ma anche per i bianchi. Infatti tra i “matrimoni insoliti” c’è quello tra Fiano di Avellino e Vermentino.
“I miei devono essere vini di rottura e con chiari segni distintivi. Questo è ciò che ho voluto, in accordo con l’enologo aziendale Emiliano Falsini. Con lui abbiamo giocato nell’esaltare il Vermentino come complementare ad altro, e il Fiano di Avellino ha risposto in modo egregio a questo bisogno, reggendo anche un passaggio in legno. Ecco come nasce l’Artume con il Fiano protagonista all’85% e il 15% di Vermentino a completare”.
Questo Fiano ha saputo trovare il suo spazio in un territorio congeniale all’interno dei 20 ettari aziendali. Si tratta di una particella contenuta – infatti vengono prodotte solo 1.500 bottiglie – che guarda al mare lontano solo 8 chilometri, e con un posizionamento di 150 metri in altezza. Siamo vicini a Pisa, con l’altopiano di Pomaia che guarda ai vigneti, quindi l’escursione termica che il Fiano cerca, è assicurata.
“Prima di andare a impiantare, ho studiato e provato varietà in grado di invecchiare bene però, senza trascurare il concetto di terroir che va ben oltre la classica definizione. Infatti non basta studiare il portainnesto, bisogna vedere se la varietà va bene e risponde all’ambiente”. Il segreto quindi, sta nel matching e in quella parte di curiosità. “Il mio non è un rischio e neanche imprudenza, piuttosto è curiosità di scoprire cose nuove. Posso farlo però, solo se ci metto la faccia”.
I vini di Gianni Moscardini sono per pochi o per tutti? Lui ci risponde senza mezzi termini. “Il vino lo vende l’oste e deve esserne lui il primo appassionato e riscuotere fiducia dal cliente che, secondo esperienze già vissute, una volta provato lo riordina. Soprattutto quando si parla di bianco”. E in azienda accade la stessa cosa. I visitatori se ne innamorano, soprattutto se stranieri alla ricerca di novità. La loro scelta cade sugli insoliti bianchi in grado di reggere il confronto con regioni bianchiste da tradizione.
“Il pubblico che risponde meglio è quello del Nord Europa”. Non solo, in una rete commerciale quasi domestica, l’Artume di Moscardini conquista anche il pubblico molisano. “Al di fuori della Toscana il secondo mercato di riferimento è il Molise. Il 30% della produzione annuale finisce qui”.
A questo punto, quando si parla di acquirenti, non possiamo non fare cenno alla crisi di rossi che infuoca pure la Toscana. Al di là del classico calo vendite indistinto, gli abbiamo chiesto la personale possibile soluzione per uscire dall’impasse. Forse svecchiare il rosso opulento toscano o virare verso altre vie come ha fatto in azienda, ma Gianni ci risponde così “Una soluzione univoca non c’è. Piuttosto è necessario entrare nell’ottica di produrre vini gastronomici, adatti a cibi non troppo strutturati, con meno passaggi pesanti in legno, come si fa anche nella nostra tradizione regionale. Dovremmo lavorare sulle freschezze, sulla pronta beva. Penso al Ciliegiolo dal 2020 non fa più legno, ma cemento, acciaio, anfora. Il risultato è un vino piacevole anche per il consumatore meno esperto – E aggiunge – Se si assaggiasse più Borgogna e se ne prendesse spunto, non sarebbe male”.
E allora la soluzione è “ristrutturarsi” e guardare al mercato e agli altri, sempre senza paura. Secondo Gianni Moscardini è la ricetta, assieme a una comunicazione schietta con il consumatore. Spiegare cosa succede in vigneto e in cantina, attirare la sua attenzione, serve anche alle vendite. “Potrei fare il miglior vino del mondo, ma solo spiegandolo potrei far capire la mia visione”. E allora, lasciamo perdere i pregiudizi, quelli che tanto hanno già fatto male al mondo del vino.
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