Si celebra il rosa. Le curiosità sul vino rosato in occasione dell’International Wine Rosè Day
di Serena Leo

ROMA – Rosa è bello, anche quando si parla di vino. In occasione dell’International Wine Rosè Day che si celebra proprio il 28 giugno, è il caso di parlare un po’ di più di questo vino che tanto amiamo, ma che forse non apprezziamo come dovremmo.
Da alcuni definito vino minore, da altri solo un rosso che non ce l’ha fatta, oggi è il vino rivelazione che mette tutti d’accordo e riesce a conquistare un posto sulle tavole di tutta Italia. Infatti è una delle tipologie più apprezzate tra i consumatori che lo premiano nei consumi del primo trimestre 2024 nella misura del 7% nel valore (dati Circana).
In occasione dei festeggiamenti dai toni pink ecco qualche curiosità sul rosato – e anche qualche suggerimento che non guasta mai – per una bevuta più consapevole del solito.
La vinificazione in rosa
Il rosato è un vino non nasce certo dalla miscelazione di uve a bacca bianca e rossa. I metodi per arrivare ad ottenere il rosa al bicchiere sono macerazione e salasso. La macerazione è la modalità più comune e semplice, avviene con il contatto delle bucce per un lasso di tempo che va da poche ore fino a un massimo di 48 ore. Il rosato si chiama anche “vino di una notte” perché si può ottenere attraverso una breve macerazione del mosto a contatto con le bucce in un intervallo che va dalle sei alle dodici ore. Definito così è il Rosamara, il rosè della Valtenesi firmato Mattia Vezzola. Da Costaripa arriva un’espressione tradizionale del Lago di Garda che non è da intendersi come terra di solo bianchi e rosati “senza impegno”.
Esistono altre tecniche, alcune utilizzate e altre meno. Il salasso consiste nel prelevare un 20-30% di uve in macerazione a contatto con le bucce. Questa parte continuerà a fermentare separatamente senza bucce per divenire rosè. Si procede in questo modo per produrre lo Champagne rosè. Infine la vinificazione a lacrima, di tradizione salentina, avviene sottoponendo a delicata pigiatura le uve nere raccolte in sacchi, in modo da farle “lacrimare” e da raccogliere il mosto fiore, senza tenerlo ulteriormente a contatto con le bucce.
Il terzo colore del vino
I vini rosa nascondono diverse da sfumature che vanno dal colore buccia di cipolla fino a una tonalità più intensa, tanto da equiparare un giovane rosso. Ciò dipende dal tempo di macerazione e contatto con le bucce certo, ma influisce anche la varietà di uva utilizzata e l’invecchiamento. Il sommelier intercetterà il colore del rosato nella sua valutazione cromatica con tre tipologie: rosa tenue, cerasuolo o chiaretto. Ciò dipende dalla sensazione cromatica che è costituita da tre componenti, cioè lunghezza d’onda dominante tradotta in tonalità o tinta, il colore puro costituito da un ristretto spettro o singola linea d’emissione all’interno dello spettro visibile.
I rosati da Nero di Troia dall’alta Puglia testimoniano come questo vino possa assumere connotazioni cromatiche interessanti, lasciando intendere forza e struttura, eleganza compresa, anche sotto l’etichetta di rosato. Ne è un esempio il Fabri di cantina Rivera. 100% Nero di Troia affinato in anfora, un omaggio a una famiglia e alla terra federiciana che, enologicamente parlando, si sta affermando con ottimi risultati.
Il rosato imbottigliato più antico d’Italia è pugliese
Il rosato più antico d’Italia si produce in Salento e viene imbottigliato dal 1943 dall’azienda Leone De Castris. L’occasione nasce dall’incontro fortunato tra Piero Leone De Castris e un ufficiale di stanza a Brindisi, Charles Poletti.
Il vino rosato da Negroamaro conquistò subito l’americano che chiese di imbottigliarne un po’ per portarlo negli Stati Uniti, ma la discriminante era pensare a un nome americano per favorirne il successo. L’idea del Five Roses nacque pensando proprio alla contrada Cinque Rose in cui prosperavano i vigneti. Il vino fu un successo e il mercato oggi lo premia ancora.
Il Five Roses di Leone De Castris ha insegnato al Paese che il rosato non è solo un completamento di gamma, ma può diventare storia.
Il Cerasuolo d’Abruzzo verso la modifica del disciplinare
Le infinite sfumature di Cerasuolo d’Abruzzo creano un disorientamento per il mercato. Per questo si procederà a leggere tutte le sfumature di questo vino in modo da definire la gamma precisa di colori di riferimento più appropriata per il Cerasuolo d’Abruzzo tradizionale. Sarà il metodo Cielab (Protocollo innovativo riconosciuto ufficialmente dall’Oiv) a garantire l’analisi e ad escludere – quando si parla di Cerasuolo – tonalità troppo tenui o troppo sature (ne abbiamo parlato qui). Le modifiche dovrebbero entrare in vigore a partire dalla vendemmia 2025.
Intanto dall’annata 2023 la menzione Superiore in etichetta, obbligatoriamente accompagnata da una sottozona, punterà ad esaltare quelle produzioni caratterizzate da accorgimenti più stringenti in fatto di affinamento e provenienza che va verso il concetto di “cru”. I produttori abruzzesi che vorranno inseguire il mercato del rosato “easy” dovranno ricorrere alla Doc o alla Igt regionale.
Appena tornato su piazza è il Cerasuolo d’Abruzzo Superiore Terre Aquilane Dop di Pasetti (il nostro recente servizio). 100% Montepulciano d’Abruzzo, coltivato nei vigneti situati nel comune di Capestrano, a un’altitudine di 450 metri s.l.m. all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. È una dichiarazione d’amore per l’Abruzzo autentico da bere.
Provenzali grandi consumatori del rosato
I francesi, sebbene producano un’ampia quantità di vino rosè, ne sono consumatori su scala globale almeno per il 40%. Il vino rosa piace anche agli americani, che lo apprezzano per la versatilità e la facilità di beva, seguiti poi dai tedeschi. I francesi sono anche i primi produttori di rosé al mondo ma bevono così tanto rosato da dover importare il vino per soddisfare la richiesta interna. I francesi quindi, conquistano la medaglia di maggiori produttori e allo stesso tempo consumatori di rosé.
Il Chiaretto di Bardolino una prima vetrina del rosè italiano
1000 ettari di vigneto, 100 produttori e 10 milioni di bottiglie annue fanno del Chiaretto di Bardolino il vino rosa più importante d’Italia e probabilmente, più conosciuto all’estero. Prodotto sulla sponda veronese del Lago di Garda – destinazione turistica non di poco conto – non ci sta a passare come sottoprodotto del Bardolino, e i numeri lo dimostrano.
Il volume di export è pari al 60% con il mercato tedesco in testa, ma con nuovi mercati in espansione come lo scandinavo e il nord americano, da sempre appassionati a questo prodotto versatile e per niente banale e, sorpresa, durevole nel tempo. Il nuovo disciplinare del Chiaretto di Bardolino prevede l’utilizzo obbligatorio diCorvina veronese (fino a un massimo del 95%) e Rondinella (con un minimo del 5%). Ne deriva un vino espressione autentica del territorio e non solo una manovra commerciale da spingere a tutti i costi.
Traccia di Rosa di cantina Le Fraghe è la risposta al Chiaretto di Bardolino che si evolve e diventa un vino contemporaneo. Costruito con vigne ventennali riprende una filosofia di produzione in armonia con la natura e la tradizione, vinificato in vasca di cemento e senza lieviti aggiunti. Il vino ricalca la filosofia lacustre e diventa gastronomico, adatto per accompagnare una cucina strutturata senza nessun problema.
La giusta temperatura per i rosati
Diciamolo in coro “nessun vino si beve ghiacciato” in quanto la temperatura bassa anestetizza il gusto. Anche se il rosato può essere considerato un vino estivo a tutti gli effetti – anche se su questo avremmo da ridire – occhio a non scendere mai sotto i 10-12 gradi. Solo così il vino continuerà ad esprimere tutti i propri aromi e dare sensazioni morbide e rotonde in bocca, abbinandosi perfettamente a piatti estivi leggeri, ma anche a pizze e a carni bianche.
Esistono anche i rosati di montagna e a realizzarlo è l’azienda agricola di Pojer e Sandri. Siamo a Faedo (Trento) e il Vin de Molini è una tradizione storica di questa terra. È un vero e proprio orgoglio enologico di Mario Pojer. Ottenuto da uve Rotberger – un antico incrocio fra Schiava e Riesling Renano – ricalca i sentori della frutta di bosco, ma al gusto non rinuncia alla sapidità. Vin de Molini è la dimostrazione che il rosato, con un’idea concreta alle spalle, si può far bene ovunque. Basta evitare di concepirlo solo come un completamento di gamma.
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