I vini d’Albania che non ti aspetti e una storia di migrazione che unisce Çobo all’Italia
MERANO – Erano tra le migliaia di albanesi assiepati sulla nave Vlora – indimenticabili le immagini dello sbarco a Brindisi nel 1991 – simbolo del massiccio fenomeno migratorio di quegli anni verso l’Italia. Nel Belpaese rimasero per un decennio, stabilendosi a Trento dove studiarono e strinsero amicizie.
Prima che di vino, è una storia romantica di migrazione di ritorno quella di Petrit e Muharrem Çobo, che a Ura Vajgurore, a sud di Tirana, da una ventina d’anni hanno messo su un’azienda che aveva mosso i primi passi nel 1993 con il primo ettaro di terra acquistato proprio grazie alle rimesse.
L’Albania non è certamente nota per essere terra da vino e – come nel caso della famiglia Çobo che iniziò coi nonni di Petrit e Muharrem – la viticoltura è stata fortemente annichilita, prima dalla dominazione ottomana, che ne vietava il consumo, e poi dal regime comunista che collettivizzò i vigneti, eppure è uno dei Paesi coi vigneti più antichi d’Europa considerando che la viticoltura si sviluppò sin dall’VIII secolo A.C. sulla base di vitigni autoctoni che avevano resistito all’era glaciale. E addirittura, secondo alcune fonti le barbatelle sarebbero state portate in Francia proprio dall’Albania ai tempi dei Romani.
“Nonostante una lunga tradizione risalente agli inizi del 1900, la mia famiglia, come molte tenute in tutta l’Albania, fu costretta a interrompere la produzione quando il regime comunista prese il potere nel 1945. Le imprese private non erano ammesse”, racconta Muharrem Çobo, che solo dopo il 1991, con la caduta del regime, è riuscito insieme alla sua famiglia a ripartire da zero.
“Nel 2001 abbiamo deciso di tornare a casa, il vino in Albania ha una tradizione molto antica, si è sempre prodotto e sempre consumato”, ricorda Muharrem. “Chiunque abbia un pezzo di terra, la prima cosa che pianta è la vite e si è sempre prodotto il tradizionale distillato, il Raki, perché più facile, ma anche vino”.
“Nostro nonno già faceva il vino e ci ha trasmesso questa tradizione, che considero più emozionale che tecnica”, aggiunge. “Nel 1993 con le mie rimesse dall’Italia abbiamo preso il primo ettaro di terreno e, confrontandoci in famiglia e seguendo il consiglio di mia nonna che faceva notare come la vite fosse una pianta generosa, decidemmo di impiantare l’uva”.
Oggi Çobo alleva anche Cabernet e Merlot, ma principalmente vitigini autoctoni, a partire dal Vlosh, a bacca rossa e maturazione tardiva, le rese sono molto basse, ma le condizioni pedoclimatiche favorevoli consentono di limitare i trattamenti a due o tre l’anno. L’azienda esporta in Svizzera e Belgio e, dal prossimo anno, conta di inserirsi anche in Italia. Il suo vigneto, piantato su colline terrazzate, oggi è considerato uno dei siti vitivinicoli più belli del Paese.
“Sono vini unici e riconoscibili, e unicità e riconoscibilità in un vino sono la condicio sine qua non” ha detto sicuro Luca Gardini, miglior sommelier al mondo nel 2010, palato fine universalmente riconosciuto che ha guidato la masterclass “Eccellenze d’Albania” al Merano Wine Festival. “Abbiamo degustato Puls, uva bianca ricca di sale, tesa con note agrumate, e Vlosh, ciliegione, pieno ma di grande eleganza, tutti con un fil rouge di salinità e bevibilità”.
“L’Albania secondo me è uno di quegli stati che nei prossimi anni si farà notare, soprattutto con il Vlosh nel quale bisogna investire”, ha chiosato.
In degustazione: Puls (E bardha e Beratit) 2022; Shesh i zi 2015; Vlosh (E kuqjae Beratit) 2019; Vlosh (E kuqjae Beratit) 2012; oltre a uno spumante dosaggio zero tre anni sui lieviti, il Shendevere 2019.
Sostieni Virtù Quotidiane
Puoi sostenere l'informazione indipendente del nostro giornale donando un contributo libero.
Cliccando su "Donazione" sosterrai gli articoli, gli approfondimenti e le inchieste dei giornalisti e delle giornaliste di Virtù Quotidiane, aiutandoci a raccontare tutti i giorni il territorio e le persone che lo abitano.