Cronaca 28 Nov 2024 16:08

Antonio Paolini: il mio Luigi Veronelli “dal vivo”. Un ricordo a vent’anni dalla scomparsa

Antonio Paolini: il mio Luigi Veronelli “dal vivo”. Un ricordo a vent’anni dalla scomparsa
foto Seminario Veronelli

ROMA – Luigi Veronelli, gastronomo, giornalista, editore, conduttore televisivo e filosofo, una delle figure centrali nella valorizzazione e nella diffusione del patrimonio enogastronomico italiano, considerato il padre del giornalismo di settore, viene ricordato su Virtù Quotidiane da Antonio Paolini in occasione del ventennale della sua scomparsa, il 29 novembre 2004.

Un ricordo personale, in cui trasudano le doti umane, arricchito da due aneddoti che danno la misura del tempo.

Antonio Paolini, giornalista, da oltre trent’anni protagonista della scena enogastronomica italiana, a lungo curatore delle guide del Gambero Rosso e dell’Espresso, per i quali è stato rispettivamente curatore della Guida Ristoranti e della Guida Vini, oggi è consulente editoriale del Gruppo Sae che edita, tra gli altri, La Nuova Sardegna, il Tirreno, La Gazzetta di Modena, La Gazzetta di Reggio e La Nuova Ferrara.

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Ovviamente, per conoscerlo lo conoscevo già, e da tempi non sospetti (da quando in Rai ancora in bianco&nero prendeva monellescamente in giro Ave Ninchi, sua compagna di format, il primo mai centrato in Italia sulla cucina fatta in diretta, e lei un po’ abbozzava e poi cominciava a sua volta a trattarlo da ragazzino impertinente e impunito).

Leggevo con puntualità i suoi pezzi, e mi divertivo, oltre che per la ricorrente vis polemica (e le granate che sganciava, con cui non era sempre necessario essere d’accordo, ma che stimolanti erano quasi sempre) con i suoi neologismi (il vino sguerzo) e le arditezze descrittive (il sentore di sperma che per lui era semplicemente una nota sensoriale, ma gli valse un’indignata querela, poi risolta e ribaltata in stima col produttore offeso).

Ma quanto a incontrarlo di persona, successe solo agli albori degli anni Novanta. A Valdobbiadene, dove ante litteram, ed eoni prima della esplosione globale della bomba Prosecco, in un posto delizioso di nome Villa Cedri un comunicatore visionario – Giampietro Comolli – aveva inventato e collocato una manifestazione battezzata Mostra Nazionale degli Spumanti. Com’è costume di ogni kermesse del genere, l’apertura veniva affidata a un convegno (non si chiamavano ancora talk show) la cui star era quell’anno indubbiamente Veronelli Luigi, detto Gino (per gli amici e tutti quelli almeno un filo in confidenza con lui) e in cui tra i relatori venni arruolato anch’io. Allora scrivevo per il Messaggero, di Esteri prima e poi di Economia, ma da qualche anno anche molto di food, e gestivo e firmavo anche la rubrica settimanale sul vino, piuttosto rara sui quotidiani all’epoca, ma che il mio aveva voluto e mi aveva affidato.

Facemmo ognuno il suo, lui brillante e puntuto come di prammatica, e io sforzandomi al massimo, per non fare proprio la figura del pirla accanto a tanta ed esercitata padronanza scenica. E troppo male non andò, perché finito lo speech e chiusa rappresentazione, lui venne a dirmi che gli era piaciuto il mio intervento, che conosceva il mio lavoro sul Messaggero e che gli sarebbe piaciuto che collaborassi a una o più della sue Guide.

Il problema era che – con l’autorizzazione ufficiale del mio direttore dell’epoca – io già facevo Guide (Vini, Ristoranti, Roma etc.) con il Gambero Rosso: e allora (tempi eroici, e comunque belli, e non per mera nostalgia scamuffa, ma per entusiasmo vero e spinta propulsiva) scrivere per una testata così era una sorta di impegno d’onore e certificato di appartenenza. Glielo dissi, dicendogli anche quanto mi dispiaceva non dirgli di sì, e aggiungendo che in caso – allora per me remotissimo – di… divorzio, lo avrei immediatamente informato e sarei entrato con tutte le scarpe e tutto il cuore nella sua squadra. Mi rispose che apprezzava la lealtà, che è una dote importante e… vennero a chiamarlo. C’era un autista che lo aspettava, e lui doveva andare da qualche parte. E andò.

Anch’io peraltro dovevo andare. Senza autista, ma con una macchina a noleggio, presa per arrivare da Mestre (fine corsa treno) a Valdobbiadene e poi, proprio per la Guida Ristoranti del Gambero, in un posto non esattamente centrale sulle carte del mondo che si chiamava Cavaso del Tomba, ma in cui un amico veneto, basista fidato, mi aveva segnalato un locale in ascesa, gestito da una coppia appassionata, che si chiamava “Al Ringraziamento”.

Come dio volle (non c’erano navigatori né cellulari all’epoca) arrivai. Parcheggiai, aprii, entrai e… al tavolo centrale della parete lunga della sala indovinate chi c’era seduto? Esatto: Veronelli Gino nell’esercizio delle sue funzioni di critico celebre, e dunque ovviamente attorniato dai titolari (lui e lei) e da tutti i camerieri, più qualche cliente sgamato aggiuntosi al crocchio.

Zitto zitto, senza dar nell’occhio (e comunque bellamente ignorato) andai a sedermi a un tavolo defilato. Dove rimasi ad aspettare per un bel pezzetto senza che nessuno (tutti così presi) mi si avvicinasse. Fino a quando Veronelli, che a quel punto stava scegliendo qualcosa dal menu, alzò gli occhi, mi inquadrò, si rivolse al proprietario e, col suo tipico fare ammiccante, gli disse: “Badate che anche quello lì – e mi indicò a dito – è delle Guide, e anche di una Guida importante”. Panico. Tutto il gruppo si spostò (clienti esclusi) verso il mio tavolo, a fare ammenda per l’attesa e l’abbandono. Ma Gino alzò allora tutta la mano e, rivolgendosi stavolta a me, mi disse (sempre con quell’aria di sfottò, ma talmente divertita e divertente che non potevi certo prendertela): “Scusa, ma ora che ti hanno riconosciuto potremmo anche mangiare insieme…”.

E così fu. E non fu l’ultima volta, perché tornato a Roma dopo pochi giorni mi trovai sul tavolo in redazione (Veronelli non aveva il mio indirizzo di casa) una sua lettera, scritta a mano con la stilografica, grafia impeccabile, con cui ribadiva il piacere della conoscenza, del pranzo insieme e mi invitava a casa sua, quando volessi, per “quieti cibi e meditati vini”, la sua formula icastica per definire un convivio.

Da lì ci siamo ritrovati, a Bergamo e in molti altri posti e occasioni – una per tutte, una giornata speciale a casa Leopardi, a Recanati, ad assaggiare vini prodotti dai discendenti del poeta insieme a qualche Bordeaux illustre e, portati da Gino, alcuni rari e singolarissimi Fiorano ottenuti alle porte di Roma da vitigni importati dalla Francia da un originalissimo membro del Gotha capitolino (due papi, ministri e un Governatore dell’Urbe in famiglia), il principe Alberico Boncompagni Ludovisi (oggi a farli, dopo mille peripezie e il quasi totale espianto dei vigneti, è un suo bravissimo discendente).

Ho scritto più su “ritrovati”, e non rivisti, non per caso. Perché da un certo punto in poi a vedere ero solo io. Gino aveva progressivamente perduto la vista, e quando ci si incontrava, con la sua compagna Christiane che lo pilotava con la mano senza farglielo pesare troppo, era norma di cortesia annunciarsi a voce, tipo “Ed è arrivato anche Antonio, che ancora regge, Gino, ed è felice di trovarti”, per farsi riconoscere e salutare poi a dovere.

Dei premi in genere, inclusi quelli giornalistici, il sottoscritto pensa senza ipocrisia quello che immagina che tutti dovrebbero pensare: che alla fine, cioè, fanno sempre piacere, ma che non tutti ovviamente hanno ugual significato. Quattro anni dopo che Gino se n’era andato, nel 2008, quando mi chiamarono per dirmi che mi avevano assegnato il Veronelli alla carriera, mi scappò però la (prima e unica, giuro, in circostanze simili) lacrimuccia. Andai a Milano a riceverlo e io, che in casi simili ho un’autentica faccia da copertone, quasi non riuscivo a spiccicar parola.

Qualche anno dopo ancora, mi sono trovato arruolato tra i membri della Giuria del Premio, e a collaborare con la famiglia e gli eredi, alla prima Guida italiana agli Spumanti, targata appunto Veronelli Editore. Ed è abbastanza curioso pensare che la mia storia personale con Veronelli e il suo mondo, apertasi e chiusasi nel segno dello spumante, la sto raccontando oggi, oltre trent’anni dopo l’inizio e venti da quando lui non c’è più, su una testata che delle bolle e degli spumanti ha fatto un tema portante, e anche una serie di eventi con cui (guarda un po’) mi son trovato con piacere a collaborare. Ma è che il destino, a volte, si diverte a fare scherzi e marachelle. Proprio come, a pensarci, piaceva fare a Gino…


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