CAMBIAMENTI CLIMATICI: GLI STUDENTI TORNANO IN PIAZZA. LE BUONE PRATICHE PASSANO ANCHE DAL CIBO

L’AQUILA – “Il grido di Greta è quello di un’intera generazione”. È quanto affermato da Cecilia, una studentessa intervenuta al secondo Global Strike For Future a L’Aquila, lo sciopero globale contro i cambiamenti climatici e per un’inversione di rotta sulle politiche energetiche.
Di un’assolata scalinata della basilica di San Bernardino le ragazze e i ragazzi della generazione del cambiamento hanno fatto una piazza in grado di rilanciare, nella piccola realtà aquilana, un problema globale di cui oggi si fa un gran parlare, spesso senza cognizione di causa.
Il movimento Friday for Future – tra gli organizzatori dell’evento la sezione locale insieme a Greenpeace L’aquila, Slow Food e i sindacati studenteschi Unione degli Studenti, Link e Unione degli Universitari – è infatti ormai noto per aver avuto origine dall’intraprendenza della sedicenne svedese Greta Thunberg che ha iniziato il suo sciopero saltando la scuola e recandosi tutti i giorni davanti al parlamento svedese per chiedere una maggiore attenzione della politica sui cambiamenti climatici.
Quella di Greta, però, è stata solo la scintilla che ha innescato un meraviglioso fermento tra studentesse e studenti di tutto il mondo e così un movimento acerbo, nato sulla spinta di voler “semplicemente” far qualcosa per il Pianeta, sta costruendo un sistema importante, formandosi e informando tanti giovani, e non solo, sull’argomento.
Al presidio di oggi erano infatti presenti anche docenti, dottorandi e ricercatori dell’Università degli Studi dell’Aquila.
Valerio De Santis, docente di Elettrotecnica all’Università dell’Aquila, ha portato ad esempio casi virtuosi come quello della Costa Rica che riesce ad avere una sua indipendenza energetica ma ha fatto presente anche le difficoltà che si incontrano nell’intraprendere un percorso di questi tipo; senza togliere che, con un maggior impegno, anche l’Italia potrebbe passare da un 18,1% del fabbisogno energetico prodotto da fonti rinnovabili (dato relativo al 2018, secondo il Rapporto Attività 2018 del Gestore servizi energetici) ad un 22% perché, come ricorda De Santis, “abbiamo la scienza e la tecnologia per fare di più”.
È intervenuto anche Michele Di Musciano, dottorando in cambiamenti climatici, che ha fatto notare come il tempo rimasto per agire sia poco: “Ci sono stime di 5 o 10 anni per un punto di rottura, un punto in cui non si potrà più tornare indietro”.
In merito all’estensione di specie animali e vegetali ha poi aggiunto: “Si prevede che nel 2070 il 90% delle specie rare si estingueranno”.
La questione ambientale può, in ogni caso, beneficiare non solo di politiche adeguate ma anche di piccole buone pratiche che, se eseguite su larga scala, possono davvero fare la differenza.
Lo ha ricordato anche Rita Salvatore di Slow Food L’Aquila che ha sollevato le problematiche relative alle nostre abitudini alimentari, sottolineando come anche l’acquisto sia un atto politico. Parlare del consumo di carne porta molto spesso a infruttuosi dibattiti ma, a prescindere dalle scelte personali, sono innegabili le implicazioni ambientali negative, sia in termini di emissioni di anidride carbonica che di produzione di mangime vegetale.
Per produrre un chilo di carne, come spiega Salvatore, servono sette chili di mangime, che spesso viene coltivato con uno sfruttamento di suolo che avviene attraverso la deforestazione. Cosa possiamo fare dunque? Qualora si voglia consumare carne, “preferire gli allevamenti estensivi, come quelli che abbiamo sulle nostre montagne”.
Inoltre, come d’altronde avviene con il consumo energetico, spesso la soluzione potrebbe essere consumare di meno.
“Ognuno di noi – ricorda Salvatore – spreca circa 46 chili di cibo l’anno, spesso neppure scaduto. Allora scegliamo cibo ‘non perfetto’ perché la natura non crea cibo esteticamente perfetto, preferiamo frutta e verdura di stagione, guardiamo la scadenza e non vergogniamoci quando andiamo a mangiare fuori di chiedere la ‘doggy bag’, di portare cioè a casa gli avanzi: è un segno di grande civiltà”.
Le ragazze ed i ragazzi saranno tornati a casa con una maggiore consapevolezza su energia, cibo e preservazione di specie a rischio. Resta però da chiedersi se gli “adulti”, la classe dirigente ma anche i loro genitori, possano dire lo stesso: se hanno davvero le conoscenze per affrontare nel loro piccolo questo importante momento storico o se, cullandosi nella retorica del benaltrismo, decideranno di posticipare l’azione.
In questo senso, muoversi per sensibilizzare e trovare soluzioni significa avere a cuore prima fra tutte la salute delle persone, ma anche il luogo in cui viviamo e la qualità della nostra vita: l’immaginario di una pianeta indifeso ci porta a pensare di essere immuni da quanto stiamo facendo ma erosione delle coste, alluvioni, siccità, l’aumento di fenomeni meteorologici estremi e le conseguenti migrazioni ambientali ci stanno dando dimostrazione che le conseguenze sono tangibili e sono un problema soprattutto per la specie umana.
Allora, a pensarci bene, fa sorridere che dei ragazzi abbiano dovuto aprirci gli occhi su quanto stava accadendo ma è comunque auspicabile che, per il bene di tutti, non smettano di gridare.
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