Cronaca 27 Nov 2025 16:08

Il caffè come cultura e come impresa: la lezione di Sergio Barbagallo, il torrefattore dell’Etna che sfida le vecchie logiche del mercato

Il caffè come cultura e come impresa: la lezione di Sergio Barbagallo, il torrefattore dell’Etna che sfida le vecchie logiche del mercato
Sergio Barbagallo

ZAFFERANA ETNEA – Zafferana Etnea, provincia di Catania, porta naturale verso il vulcano. Qui, Sergio Barbagallo, classe 1983, ha fondato la sua Etna Roaster: una piccola torrefazione artigianale — o meglio, come lui tiene a precisare, una microroastery.

“Non esiste una definizione unica — spiega — ma possiamo dire che si tratta di una torrefazione che non ha le dimensioni dell’industria. Non facciamo comodato d’uso, non tostiamo quintali, non ragioniamo a volume: lavoriamo sulla qualità”.

Una scelta di rottura, che parte da un principio chiaro: il caffè non è una commodity, ma un prodotto culturale. E che, per questo, va ripensato dalle fondamenta.

Per Barbagallo, il nodo è economico e culturale insieme: “Oggi un’azienda sana è quella che investe in attrezzature, paga bene i dipendenti e acquista materie prime di qualità. Ma se continui a vendere l’espresso a 1,20 euro, è impossibile sostenere i costi reali. Il prezzo giusto sarebbe almeno due euro al banco, il doppio al tavolo. Solo così puoi garantire professionalità e qualità. Il ‘comodato d’uso’ è un abominio: se un’impresa non regge senza legare il cliente alla macchina, non è solida”.

Un discorso che, nel mondo del caffè italiano, suona quasi eretico. Ma i numeri danno ragione alla sua analisi: l’aumento delle materie prime e dei costi di trasformazione sta mettendo in crisi l’intera filiera.

“Parliamo di aumenti abominevoli — dice —. Tra novembre e dicembre 2024 abbiamo registrato un +60% sugli ordini, che in fase di trasformazione diventa quasi +90%. Un prodotto che costava 20 euro al chilo è arrivato a 36. Come lo trasferisci al cliente senza perderlo?”.

I rincari colpiscono tutto: dai chicchi agli imballaggi, fino al cartone per le confezioni. “Il caffè è diventato schiavo dei meccanismi di borsa: ci sono vere e proprie bolle speculative. Se in Brasile c’è una cattiva stagione è normale che i prezzi salgano, ma quando non succede nulla e i listini esplodono lo stesso, allora capisci che il problema è finanziario, non agricolo”.

Oggi il caffè è la merce alimentare più scambiata al mondo, spinta anche dalla crescente domanda dei mercati asiatici. Un paradosso che lascia i microtorrefattori schiacciati tra la volatilità globale e il prezzo fisso al bar.

Per Barbagallo, però, il vero cambiamento parte dalla cultura del caffè. “Il problema non è solo economico: è culturale. In troppe caffetterie lavorano persone senza formazione, perché “si è sempre fatto così”. Ma il barista non è un semplice erogatore di espresso: è un piccolo cuoco, l’ultimo anello della filiera che deve completare il lavoro del coltivatore e del torrefattore”.

Per questo, nella sua torrefazione, oltre a tostare e distribuire caffè specialty, Barbagallo organizza corsi, consulenze e mini-experiences di degustazione. “Chi paga di più comincia a chiedersi anche cosa beve. È un segnale positivo: la qualità entra nel linguaggio comune, anche grazie — perché no — a certe trasmissioni televisive che hanno spostato l’attenzione del pubblico”.

La storia personale di Barbagallo nasce nell’industria. Dopo dieci anni in grandi aziende, la scelta di mettersi in proprio è stata quasi un atto di coerenza: “Mi ero stancato delle dinamiche interne, dei format disfunzionali. Ho preferito rischiare: se devo sbagliare, voglio farlo con le mie mani”.

Oggi la sua Etna Roaster è un punto di riferimento in Sicilia e all’estero, con clienti a Vienna, Berlino e Malta. “I miei clienti non mi scelgono per il nome, ma per la possibilità di costruire un’identità. Nessuno di loro ha chiuso neppure durante il Covid. È la prova che la sostenibilità economica si costruisce sulla relazione, non sul volume”.


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