Stelvin vs sughero, tra pregiudizi e vantaggi qual è il tappo più giusto da usare?

PESCARA – La spirale che affonda nel tappo, aggrappandosi ad esso per poi lentamente ritirarlo su e poter già cominciare a percepire il profumo. C’è fascino nel momento della stappatura del vino, ma c’è anche un’insolita attesa, per accertarsi che il sughero non abbia intaccato il contenuto e che il vino non presenti difetti.
Questa atmosfera viene meno con alcune tipologie di tappi, come quello a vite che per un popolo di romantici e nostalgici come gli italiani, vive con un alone di pregiudizio. Ciononostante, grazie alle certezze che il tappo stelvin può dare ai produttori – dal momento che se il tappo è di qualità, la chiusura è davvero ermetica – sono sempre di più i vignaioli che propongono ai consumatori questa tipologia. O almeno lo fanno su certi mercati.
“Ormai tutte le aziende usano il tappo stelvin, specie per i vini bianchi o rosati, o per qualche rosso giovane”, spiega a Virtù Quotidiane, Gianni Pasquale, presidente di Assoenologi Abruzzo, “ma se andiamo a vedere lo utilizzano per il mercato estero. Oggi ci sono diverse tipologie di tappi, lo stelvin, il sughero, il sintetico e da poco si sta affacciando il vetro. E chiaramente sono tutte molto valide, a seconda dell’obiettivo enologico che si vuole raggiungere”.
Diffuso nel mercato europeo per lo più grazie ai produttori “del Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, con i vini bianchi molto profumati che avevano la necessità di restare integri senza interazioni”, spiega Pasquale, in Italia il tappo stelvin non ha avuto vita facile.
“Da noi questo sistema di tappatura, diverso perché più corto, si usava negli anni ’60 per i vini di scarsa qualità. L’immagine simile, quindi, porta con sé questo retaggio culturale. Tuttavia il tappo a vite sta prendendo piede e molte aziende lo stanno usando specie per i mercati esteri. Poiché sappiamo che ciò che può degenerare un vino è l’ossigeno, credo che lo stelvin sia una scelta ottima per lasciare integri i vini e conferirgli anche una certa longevità. Di contro, però, ci sono altre problematiche legate al fatto che i vini potrebbero andare in riduzione, ed ecco perché non lo si usa per i rossi di una certa evoluzione, ma solo per i giovani con una veloce bevuta”.
Al fianco dello stelvin, oltre al tradizionale sughero che resta il prediletto per i grandi rossi, nonostante il rischio connesso alle malattie funginee, c’è il sintetico che oggi “dopo tanti insuccessi negli anni ‘90”, prosegue l’enologo, “ha raggiunto livelli molto performanti che garantiscono anche una micropermeabilità e quindi una leggera evoluzione, adatta anche ai vini più longevi”.
In questo panorama fatto di tecnologia, ma anche di abitudini del consumatore, le aziende propongono diverse alternative alla clientela, con tappi differenti per uno stesso vino. È il caso di Collestefano, azienda marchigiana che produce Verdicchio di Matelica Doc biologico, a Castelraimondo (Macerata).
“In nord Europa preferiscono lo stelvin, in Italia più il sughero. Noi facciamo entrambe le tipologie, e facciamo scegliere al cliente”, conferma il titolare Fabio Marchionni. “Noi usiamo lo stelvin da 12 anni e secondo me il mercato si è stabilizzato. Chi doveva scegliere lo stelvin già lo ha fatto. Chi era scettico ci si è avvicinato. Abbiamo alcune enoteche clienti che prendono i vini con entrambe le tipologie di tappo, perché a loro volta hanno una clientela che preferisce una chiusura o l’altra. Il tappo in sughero naturale accelera l’evoluzione e specie per il biologico può convincere qualcuno maggiormente. In Italia c’è una crescita nella richiesta dello stelvin, ma non vedo un futuro solo di questo tappo”.
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