Cronaca 21 Apr 2023 08:03

VINO, SULLE RESE PER ETTARO PROPOSTA SHOCK DELLA CIA IN ABRUZZO CHE VANIFICA I NUOVI DISCIPLINARI

uva vigna

PESCARA – Privilegiare la qualità anziché la quantità, valorizzare il prodotto invertendo la rotta dopo una lunga stagione in cui il vino abruzzese è stato solo quello da taglio, modificare i disciplinari proprio nella direzione di un aumento di valore a scapito dei volumi. Parole e azioni al vento, stando alla proposta shock della Cia, la Confederazione italiana degli agricoltori, che ha chiesto la possibilità di aumentare le rese per ettaro per i vini da tavola arrivando addirittura ai 400 quintali (si pensi che mediamente i vini doc sono entro i 140).

Una questione che esula il prodotto a denominazione, è vero, ma che non può non incidere sulle dinamiche di mercato della produzione regionale nel suo complesso, e che arriva proprio nel momento in cui per la prima volta nella storia le esportazioni dei vini fermi premium e super-premium (da 9 euro in su) hanno superato quelli in fascia entry-level e popular (sotto a 9 euro) secondo i dati dell’Osservatorio Uiv (Unione italiana vini) sui trend di mercato.

Preferisce non commentare il presidente del Consorzio di tutela vini d’Abruzzo Alessandro Nicodemi, considerando che l’eventuale aumento delle rese non interesserebbe i vini Doc o Docg, mentre non si sottraggono molti produttori che fanno notare come il malcelato obiettivo – che peraltro riporterebbe l’Abruzzo indietro di anni – sarebbe quello di vendere a basso prezzo le uve agli imbottigliatori del nord come base per lo spumante.

“La viticoltura fatta tanto per spremere l’uva è finita”, dice senza mezzi termini Rocco Pasetti, enologo e fondatore dell’azienda vinicola Contesa di Collecorvino (Pescara). “Dobbiamo andare sempre di più verso una qualificazione del vino. È uno sforzo collettivo”.

Il vignaiolo è dunque su una frequenza completamente diversa da quella della Cia che ha chiesto, per la campagna vendemmiale 2023, un innalzamento fino a 400 quintali della resa massima di uva ad ettaro fissata a 30 tonnellate. Il limite riguarda le uve senza denominazione, vale a dire i vini da tavola bianchi, rossi e rosati.

Fino a qualche anno fa la produzione di questa tipologia di vini era fissata dall’Unione europea sulle 50 tonnellate. Poiché questo innescava un meccanismo utilizzato spesso per mascherare l’eccesso di produzione delle Doc, falsando in un certo senso anche il mercato, tre anni fa c’è stata una riduzione a 40 tonnellate. L’Ue ha successivamente lasciato alle Regioni la possibilità di scegliere se mantenere la resa sul limite di 40 o ridurre ulteriormente a 30.

L’Abruzzo due anni fa ha deciso di introdurre la limitazione a 300 quintali facendola partire proprio dalla vendemmia 2023. Da qui però la levata di scudi e ora la richiesta di tornare sulle 40 tonnellate. Una richiesta che sembra andare nella direzione contraria a quella intrapresa dalla Regione – che tuttavia ha poi cambiato idea chiedendo al Ministero una deroga, come ricorda anche la Cia – e dal Consorzio di tutela Vini d’Abruzzo che con la revisione dei disciplinari sta puntando proprio alla riduzione delle rese.

“La strada deve essere quella della qualità – ribadisce Pasetti – . Se si continua a ragionare con la logica di quelle cantine che hanno maturato la propria esistenza su una redditività di bilancio non si può parlare di viticoltura di qualità. Bisogna invertire la rotta”.

Secondo il produttore “l’eccesso del prodotto rappresenta una sovraproduzione che fa crollare anche il vino di qualità. Il Consorzio sta portando avanti una bella pianificazione, con la revisione dei disciplinari, ma l’attuazione sta diventando difficile. Non sono per le drasticità ma per fare una viticoltura di livello, occorre modificare il comportamento in campagna. Bisogna stabilire un cronoprogramma, dando ad esempio le prossime due vendemmie di tempo (2023 e 2025) per consentire a tutti di adeguarsi al concetto di qualificazione e cambiare rotta”. (m.p. – m.sig.)


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