Cantine e vini 11 Lug 2024 18:31

Carezzabella winery, con Turchetta e Manzoni dal Polesine una nuova storia del vino da scrivere

SAN MARTINO DI VENEZZE – Quando si dice l’importanza del terroir: la retroetichetta si premura di “avvertire” che il vino nasce dalle uve coltivate nei terreni sulla riva destra dell’Adige. Un’informazione, un dettaglio tanto particolare – ma non trascurabile – che non può non incuriosire, inducendo a scoprire che a sud del fiume storicamente si sono verificate le esondazioni e per questo il suolo è sabbioso, conferendo caratteristiche uniche ai vini.

Siamo nella “Mesopotamia d’Italia”, tra i due fiumi più lunghi del paese – l’Adige e il Po – e anche se siamo distanti, forse proprio grazie alla presenza dell’importante corso d’acqua che accomuna le due aree, in alcuni vini di Carezzabella sembra ritrovarsi qualcosa dell’aromaticità proprio di quelli prodotti in Trentino.

Non è in un’area vocata alla viticoltura, non ci sono grandi denominazioni a cui aggrapparsi, ma questa azienda agricola del Polesine, a San Martino di Venezze (Rovigo), fondata negli anni Venti, più volte passata di mano, con l’arrivo della famiglia Reato, all’inizio degli anni Duemila, alla distesa di coltivazioni ortofrutticole ha visto affiancare quella della vite.

E lo ha fatto partendo da due vitigni autoctoni pressoché sconosciuti oltre i confini regionali: la Turchetta e il Manzoni, il primo a bacca rossa e il secondo a bacca bianca. A cui ha poi aggiunto Pinot Grigio, Merlot, Carmenere e Trebbiano.

Produttori di mattoni, i Reato erano interessati all’azienda proprio per l’ampia superficie di terreno sabbioso da cui avrebbero ricavato materia prima per le loro fornaci, che ha poi subito una sorte diversa grazie alla figlia Chiara e al marito Francesco Favaretto, architetto ormai votato alla campagna ma che ha sfruttato la sua specializzazione in restauro per il recupero della grande corte di inizio Novecento dove, per adesso, antichi granai sono stati trasformati in camere e appartamenti per l’ospitalità, ma tanto altro lavoro c’è ancora da fare ed è già previsto che si farà.

Dopo gli iniziali esperimenti e la produzione di un vino destinato principalmente all’utilizzo domestico, Chiara e Francesco si affidano alle competenze del giovane enologo Francesco Mazzetto con cui dal 2020 inizia il nuovo corso che oggi si ha la possibilità di apprezzare attraverso 8 referenze, bianchi e rossi, un affascinante sur lies e un rosa – da uve Merlot – forse troppo scarico di colore ma di assoluto carattere.

Il Merlot Rosso Veneto Igt, il Temetum Rosso del Veneto Igt – un blend di Cabernet franc, Turchetta e Merlot – il Turchetta Veneto Igt, il Temetum Bianco del Veneto Igt, il Pinot Grigio delle Venezie Doc, il Rosa Rosato Veneto Igt e poi, appunto, il Manzoni Bianco Igt Tre Venezie e il Brillo Bianco Veneto Igt, un rifermentato in bottiglia che va giù agevolmente, di bassa gradazione, ideale per l’aperitivo (ma anche a tutto pasto).

Con una curiosa e inaspettata percezione tannica, il Manzoni è un vino pieno, sapido e di corpo con una punta di aromaticità che riconduce, appunto, ai vini altoatesini. La Turchetta è un vitigno tardivo, la vendemmia avviene generalmente a metà ottobre e secondo Mazzetto, come tutti gli autoctoni coi cambiamenti climatici sta andando verso l’espressione delle proprie peculiarità. E dà anche qualche filo da torcere all’enologo considerando che soffre di acinellatura (lo sviluppo disomogeneo degli acini) che implica difficoltà in vinificazione, motivo per cui è stata abbandonata in passato insieme alle basse rese.

Sono di fatto i primi risultati di una storia tutta da scrivere che ancora sta sperimentando le vinificazioni, tra cemento, acciaio e il seppur marginale utilizzo di legno.

Giovane ma già affermato e con le idee più che chiare, Mazzetto sta mettendo la sua firma a prodotti che possono dire la lora senza grossi timori consapevole del fatto che ha davanti a sé un foglio bianco in cui tutto quel che andrà a scrivere insieme ai “padroni di casa” non ha un prima, e che il dopo dipende solo da loro.

Sono vini destinati a durare, per questo escono in commercio dopo un paio d’anni in bottiglia – ventimila circa quelle prodotte – e oggi si assaggia l’annata 2021.

Le etichette, giovani e pop, colorate e con elementi tipici della zona come pesci, uccelli e flora autoctona, sembrano quasi parlare del prodotto prima che lo si beva, creando quell’aspettativa che poi si ritrova in vini franchi, diretti e profondi, frutto di terreni sabbiosi e minerali in cui si pratica il sovescio e c’è grande rispetto per la natura, in un contesto ambientale pressoché incontaminato a due passi dal Parco del Delta del Po.

Prima ancora, è il logo dell’azienda a rappresentarne l’essenza: una bambina che gioca, che trae ispirazione alla celebre opera di De Chirico “Mistero e malinconia di una strada” dove è peraltro raffigurato un edifico con archi che ricorda proprio la corte.

Corte Carezzabella è una “realtà circolare in cui ogni cosa è legata all’altra”. Queste parole di Chiara sono la definizione più efficace dell’azienda, dove si consuma ciò che si produce e gli ospiti dell’agriturismo, in gran parte stranieri, possono apprezzare una cucina autentica e genuina che racconta di una terra fertile. È fattoria didattica e laboratorio di trasformazione dei prodotti della terra che diventano succhi, sughi, confetture e composte.

Carezzabella – che in dialetto vuol dire strada (carezzà è carreggiata) bella richiamando la carrareccia che attraversa la proprietà – è tuttavia, ancora oggi, il centro dell’azienda agricola “Il Frutteto di San Martino” che coltiva e trasforma frutta e ortaggi. Oltre ai frutteti di mele, pere, pesche e ciliegie, e appezzamenti di ortaggi estivi ed invernali ha dedicato circa 22 ettari alla coltivazione della vite. Un nuovo impianto di uva Turchetta, vitigno autoctono del Polesine, è da poco entrato in produzione.

Una storia tutta da scrivere, si diceva, anche nella spumantizzazione: nel cassetto c’è il metodo classico del Manzoni e questa – ha rivelato Mazzetto – potrebbe essere l’annata buona considerando le acidità e le condizioni metereologiche. Mentre Francesco, in questo caso il proprietario, da amante del barbecue immagina già un rifermentato in bottiglia da 33 cl che ricordi una birra acida.

Un importante intervento di agroforestazione cambierà il volto dell’azienda nei prossimi anni, grazie alla piantumazione di oltre 5mila alberi di essenze autoctone lungo la fascia perimetrale della proprietà e degli appezzamenti coltivati. Oggi la produzione si estende complessivamente su circa 60 ettari, coltivati interamente in regime biologico, suddivisi tra vigneti, appezzamenti a frutteto, colture orticole e frumento a rotazione. (m.sig.)

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