Matteo Ascheri: il ribelle delle Langhe contro capitali esteri e omologazione nel settore vinicolo
BRA – Le conversazioni piacevoli si riconoscono dalla genuinità dell’interlocutore. Dialoghi senza filtri e fronzoli in cui è la verità rappresenta il maggior punto di forza. Trovare dall’altro lato della cornetta Matteo Ascheri è quello in molti si augurano quando si vuole parlare di un tema complesso come il vino.
Una figura che ha fatto la storia del settore vinicolo del Piemonte. Ascheri guida l’azienda di famiglia che opera sul campo dal 1880 e che il vino lo conosce bene da ogni sua sfaccettatura. Anche grazie all’apporto degli studi in Economia e commercio oggi la sua visione d’insieme riesce a valutare fattori che all’occhio inesperto di altri passerebbero in secondo piano.
Quando gli si chiede cosa ne pensa della fuga di capitali cinesi dalle aziende vinicole francesi non esita nel rispondere: “Non mi sorprende”. Prosegue citando un detto di Jean de La Bruyère, scrittore e tesoriere che di vino sapeva poco, se non per vizio personale, ma l’economia l’aveva più chiara di tanti ai giorni nostri: “Per fare fortuna, serve una grande fortuna”.
“Nel settore enologico i primi guadagni si hanno dopo quattro anni”. Ascheri argomenta una serie di motivazioni che potrebbero aver portato a questa fuga: “Si ha una sola possibilità di fare vino, mentre per la birra si può tentare ogni giorno. È un business particolare quello vinicolo. Solitamente prima si vende il prodotto e poi lo si produce, mentre con il vino è il contrario”.
“Il mondo enologico non è flessibile come lo può essere un ristorante che alla malparata cambia menu, noi non possiamo”. Ovviamente non trascura alcune delle motivazioni più rilevanti come le differenze culturali, le politiche assolutistiche e il cambio di abitudini da parte dei giovani. Una serie di cause che, nero su bianco, possono essere la vera ragione della sconfitta in terra straniera.
Si cambia poi tema, tornando su quella che è ancora una ferita aperta. La sua iconica immagine simil-carcerato campeggia ancora sul suo profilo Whatsapp e resta ancora qualche questione in sospeso con il passato. D’altronde anni di battaglie per salvaguardare un territorio non si dimenticano in qualche mese. “I cambiamenti vanno previsti, ma soprattutto serve una visione”.
“Nella Langhe si preferisce non parlare, in questo modo il problema pare non esistere”. Lui non ha mai taciuto su nulla prima quando era il presidente del Consorzio Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani e neanche ora. “La mia azienda ha fatto delle scelte per migliorare l’impatto sociale”, prosegue.
La soluzione che propone è quella di “mettere sul tavolo i problemi e individuare le soluzioni, le cose bisogna dirle. Ci sono tante persone illuminate che evitano di discutere con gli altri. Si interessano al loro marchio e basta”. Ecco un altro nodo che viene al pettine: “Le realtà delle Langhe sono individualiste. Può essere una forza, ma anche una debolezza perché si crede che sia il territorio ad aver bisogno dell’azienda”.
A questo punto viene da chiedersi se al termine del suo duplice mandato alla guida del Consorzio Ascheri abbia visto un’involuzione, anziché un’evoluzione. Non cela un sorriso a questa domanda: “Ho impostato certe cose, ma sono stato cacciato fuori”. Cita esempi di territorio vicini, come l’Oltrepò Pavese che ha preso strade diverse, ma che condivide il principio di base: “I problemi si affrontano solo quando si presentano urgenze e difficoltà. È così in tutt’Italia, basti pensare al ponte Morandi di Genova, dove si conoscevano benissimo le criticità, ma non sono mai state messe nero su bianco”.
Ascheri si è fatto promotore del motto “Langhe not for sale”. Le ragioni? “Non è tutto bianco o tutto nero. Le aziende del territorio sono improntate sulla famiglia. Per i capitalisti stranieri siamo solo investimenti. Togliere le persone da questa visione è come togliere un ingrediente dalla ricetta complessiva”. In un contesto dove i soggetti sono più importante dei marchi, “se l’azienda fosse la mia gli darei le chiavi. Non sono il clown messo lì solo per esibirsi”.
Non nasconde che ci possano essere anche aspetti positivi, ma l’ago della bilancia pende inesorabilmente verso quelli negativi. L’obiettivo degli investitori esteri è quello di ingrandire le aziende per rivendere a prezzi più alti. Il risultato di questa politica? “Il prezzo dei terreni nelle Langhe è diventato improponibile”.
Si procede verso la fine della conversazione anche con il riferimento musicale a Viola Valentino con la sua Comprami.
In un settore dove vige una certa dose di omologazione, Matteo Ascheri è il ribelle fuori dagli schemi. Una persona che punta all’indipendenza dalle guide, dal marketing e da tutto ciò che di costruito si possa trovare. “La libertà costa, uno rimane solo. Alla fine, però, i risultati veri sono legati alle idee personali”.
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