Vini botritizzati: tra luce e tenebre la muffa è nobile, controllata e attiva un processo straordinario

ORVIETO – Cos’hanno in comune vini come il Sauternes di Bordeaux, i Beerenauslese e Trockenbeerenauslese dell’Austria e della Germania, o il Tokaji Aszu in Ungheria e i muffati Orvietani? L’origine di questi vini sembra sia legata all’ungherese Tokaji all’epoca dell’invasione turca, che provocò l’abbandono dei vigneti. Il successivo tentativo di recuperare il raccolto, vinificando le uve attaccate dalla Botrytis Cinerea, una muffa grigia, ha portato alla scoperta delle muffe nobili.
Da quello che è un parassita che colpisce frutta e verdura, se gestito in maniera iper controllata, vengono fuori prodotti straordinari. Quando la Botrytis attacca gli acini di uva matura e si insidia al loro interno in condizioni climatiche molto particolari si creano vini nobili.
È quello che accade nella zona di Orvieto, tra il lago di Corbara e il lago di Bolsena, una delle rarissime aree in Italia ad essere vocate alla produzione dei vini dolci. Qui in pieno autunno di notte, la nebbia scende e abbraccia i vigneti. La mattina, il vento la allontana e i raggi del sole asciugano la brina dai grappoli dell’uva. In questa alternanza tra tenebre e luce, la Botrytis Cinerea si insidia sugli acini.
Secondo gli studi in possesso del Consorzio Tutela Vini di Orvieto, la prima tangibile presenza della Muffa Nobile in Umbria è certificata dal professor Giorgio Garavini, ispettore generale del ministero dell’Agricoltura e delle Foreste: nel 1931 delimitò la zona di produzione del vino di Orvieto, sottolineando che il tipo abboccato era il più apprezzato e diffuso.
Un vino “color giallo oro pallido, limpido, con profumo aggraziato molto rassomigliante a quello di uva fresca, con abbondanza di eteri, sapore soavemente dolce, con retrogusto leggermente amarognolo come di mandorla, frizzante per l’anidride carbonica prodotta da lenta fermentazione”, per molti paragonabile ai Sauternes francesi, ma senza il tipico sapore di zolfo.
Il disciplinare di produzione dell’Orvieto, l’unico in Italia, prevede una tipologia Muffa Nobile con le medesime varietà nella versione secca e amabile, ossia trebbiano toscano (o procanico, come è chiamato localmente) e grechetto per almeno il 60 per cento. Possono concorrere altri vitigni a bacca bianca fino a un massimo del 40 per cento.
La consapevolezza che si possono creare vini dolci interamente da uve attaccate da questa muffa in Umbria prende vita negli anni Settanta e si concretizza nel 1981 con la prima bottiglia, la Pourriture Noble di Decugnano dei Barbi. Negli ultimi anni la produzione si è affermata e sono numerose le aziende che propongono questi vini, con stili e filosofie differenti: c’è chi utilizza solo le uve tradizionali, grechetto e trebbiano, e chi quelle internazionali più adatte, come sauvignon, sémillon, traminer e altre ancora.
Agli anni ’80 risale anche l’esperienza nella produzione di Muffa Nobile di Barberani, famiglia di viticoltori dal 1961, oggi condotta dalla terza generazione di vignaioli, Niccolò e Bernardo Barberani, affiancati dai genitori Luigi e Giovanna, autori di due vini a base di Muffa Nobile, il Calcaia in versione dolce, prodotto dal 1986, diciannovesimo tra i 100 vini del mondo per la rivista Wine Enthusiast e il Luigi e Giovanna in versione secca, creato nel 2011, in occasione del cinquantenario dell’azienda.
“Nel mese di settembre inizia questo clima autunnale molto particolare, che vede una nebbia forte e fitta con una grande umidità durante la notte e poi il vento e il sole durante il giorno che fanno diradare la foschia e asciugano tutto. Quest’alternanza particolare fa sviluppare la Botrytis Cinerea”, spiega Niccolò Barberani, enologo.
Grazie a una buccia degli acini particolarmente spessa, la muffa resta all’esterno, avvolge i chicchi che da bianchi-gialli diventano violacei. Lentamente si formano le spore attorno al chicco e la muffa, che nei momenti di sole e vento cerca nutrimento, fa dei microfori sulla buccia, succhia l’acqua dall’acino, provocando una concentrazione di zuccheri e acidità che conferiranno ai vini eleganza ed equilibrio.
La muffa non attacca mai in maniera costante le piante. Ecco che accade che in uno stesso vigneto, o in uno stesso grappolo, alcuni acini possono essere completamente colpiti, altri solo in parte, altri per nulla. La vendemmia diventa così un momento dilatato, condotto a più riprese, dalla metà di ottobre, fino anche al 15-20 dicembre, interamente a mano, acino per acino.
“Non induciamo in nessun modo il lavoro della muffa che attacca gli acini naturalmente. Noi scegliamo solo le parti giuste dei vigneti e cerchiamo di selezionare le vigne che sono più adatte a questo tipo di attacco. È un lavoro impegnativo, ma molto produttivo”, dice ancora l’enologo, “che ci permette di creare due gioielli, che pur essendo vini bianchi hanno una durata nel tempo straordinaria, un’evoluzione incredibile”.
Fatta la raccolta i mosti sono molto concentrati. Le muffe all’interno rallentano il lavoro dei lieviti, la fermentazione dura anche un mese, ed è condotta a temperatura controllata. L’affinamento, per la versione dolce, avviene in acciaio per un anno e due in bottiglia. Diverso è il discorso per Luigi e Giovanna, con affinamento in botti grandi di legno, dove il grechetto si unisce a una piccola percentuale di uve botritizzate, facendo dialogare la tradizione delle terre orvietane, con la Muffa Nobile che esalta l’eleganza e l’aromaticità.
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