Abruzzo in Bolla Cronaca 10 Lug 2025 18:28

Non solo Prosecco e Franciacorta, l’altra faccia degli spumanti italiani

L’AQUILA – Dire bollicine in Italia è sinonimo di Prosecco, Franciacorta e per i più esperti Trento Doc, eppure ci sono tante regioni, soprattutto nel sud, che sono vocate e che oggi stanno raccontando questa vocazione.

D’Araprì spumanti, a San Severo con le sue grotte di affinamento diffuse, nel centro storico è stata una vera apripista, già dai primissimi anni ’80, divenendo faro nella spumantistica con metodo classico nel centro sud Italia, e non solo.

“Nel 1979 tre giovani amici (Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore – il marchio è l’acronimo delle prime lettere dei tre cognomi, ndc) fecero una scommessa”, racconta Daniele Rapini, seconda generazione di produttori, “che fu quella di puntare sul metodo classico e sul territorio. Quella scommessa è stata vincente, perché dimostra lo sdoganamento della bollicina anche al sud, ma occorre avere la materia prima, cioè uve, territorio e clima e poi adeguare le tecniche a quelle condizioni. Oggi quelli che erano etichettati come tre passi, sono considerati dei visionari”, ammette Rapini. “È una grande responsabilità essere un punto di riferimento nel centro sud”.

A sancire la convinzione che il territorio pugliese può davvero fare la differenza nella produzione spumantistica c’è anche l’associazione Capitanata Spumante Metodo Classico che unisce i produttori di bollicine di San Severo e dintorni, tra i cui fondatori c’è D’Araprì. “Vogliamo creare un gruppo che fa parlare un territorio con un unico comune denominatore, che è il Bombino bianco”, chiarisce Rapini.

Anche la Sicilia ha il suo cuore vocato all’effervescenza nella zona dell’Etna. Ed è proprio lì che nasce l’associazione Spumanti dell’Etna, guidata da Francesco Chittari, che ha fatto il suo debutto nel 2018 con un primo evento, per raccontare il vulcano di spumanti. “Oggi”, spiega Chittari, “ci sono più di 30 realtà associate, cantine che fanno poche centinaia di bottiglie di spumanti, e realtà che ne fanno migliaia. Quello che rende unico il territorio è il clima mite, mediterraneo, ma con escursioni enormi, data l’altitudine anche fino a 1150 metri sul livello del mare, e il terreno lavico che conferisce mineralità. Con il lavoro di selezione in vigna, che porta a intercettare gli alberelli che hanno fatica a completare la maturazione per i vini fermi, si prendono le uve che diventano un’ottima base spumante che oggi racconta il metodo classico in stile etneo”.

E se è vero che bollicine in Italia è sinonimo, nell’opinione pubblica, di una geografia ben precisa, anche se le testimonianze della Puglia e della Sicilia raccontano il contrario, avviene lo stesso a volte per delle uve. Quando si dice nebbiolo si pensa ai grandi rossi piemontesi del Barolo e del Barbaresco.

L’associazione Nebbione sta invece scrivendo una storia differente, con dodici cantine socie che hanno iniziato a spumantizzare partendo dalle uve prese dalle punte dei grappoli di vigneti particolarmente vocati. Il taglio della punta deve essere accurato per non rovinare la parte che resta sulla pianta, nel momento esatto in cui c’è il grado perfetto di acidità per fare una base spumante.

“Abbiamo visto che la punta ha delle qualità molto più da bianco che da rosso, e dà una continuità simile negli anni. Raccogliamo la punta, la pressatura è molto soffice e poi facciamo 48-60 e 84 mesi sui lieviti”, rivela Franco Conterno, dell’associazione.


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