Piatti e prodotti 27 Feb 2023 18:59

FAGIOLI DELLE TERRE CAMPOGIOVESI E COMUNITÀ AGRICOLE EROICHE MODELLO DI FUTURO POSSIBILE, SULLA MAIELLA E NON SOLO

FAGIOLI DELLE TERRE CAMPOGIOVESI E COMUNITA' AGRICOLE EROICHE MODELLO DI FUTURO POSSIBILE, SULLA MAIELLA E NON SOLO

CAMPO DI GIOVE – C’è l’esuberante Bianco che dà il meglio di sé solo se coltivato col fresco della montagna: è il Fagiolone campogiovese dal genoma unico, perciò prezioso, per il quale è in dirittura d’arrivo l’iscrizione, e conservazione, nella Banca del germoplasma del Parco nazionale della Maiella. C’è il Gialletto autentico campogiovese, fagiolo dal calibro più modesto e molto produttivo, amante delle valli assolate, per la cui salvaguardia si è attivata anche una Comunità di scopo. Simili eppure diversi tra loro sono poi i variopinti fagioli Socere e Nora, il Bruscolino, il Poverello, il cece aquilano Cecepecc, classici delle terre campogiovesi.

Una saporita nicchia di proteine vegetali, la carne dei poveri, indispensabile fonte di sostentamento per generazioni di montanari fin quando l’agricoltura su questa parte di Maiella ha rappresentato una risorsa trainante insieme alla pastorizia e al mestiere di boscaiolo. Uno stile di vita necessario eppure virtuoso, ecosostenibile per usare un termine alla moda, che ha consentito alla gente del posto di vivere in autosufficienza e in buona salute.

Perciò, con i venti di crisi, indicato a modello di futuro possibile. Un cambio di rotta che qui è già cominciato grazie agli sforzi e alla passione di piccolissimi coltivatori hobbisti e di agricoltori di orti eroici di montagna.

Grazie alla loro insistenza si può parlare di svolta agricola e di rilancio delle produzioni locali. Grani del passato, ceci e fagioli di cui si stava perdendo traccia, ma anche miele e tartufo, frutti di un’agricoltura assolutamente naturale, consapevole, sostenibile, condizioni i per poter continuare a stringere il patto con madre Natura.

Soprattutto con l’abitante più delicato ed esigente di questi boschi, l’orso bruno marsicano, apice della catena alimentare e rappresentante simbolico della qualità dell’ecosistema.

Tra le prime venti aziende, apicoltori e agricoltori, a ricevere dal Parco il marchio “Bear friendly” amico dell’orso, spicca appunto la società cooperativa Tavola Rotonda con il progetto “Agricoltura e gregge di comunità” lanciato da Mimmo Curciarello e Giorgia Vitullo, fondatori della cooperativa di comunità Tavola Rotonda, una tra le oltre trenta cooperative di comunità abruzzesi e in larga diffusione in Italia, diventata un caso di studio anche universitario, esemplare per contesto ambientale e approccio culturale.

Tra le diverse attività svolte dalla cooperativa campogiovese, quella agricola occupa a tempo pieno Mimmo e Giorgia, con la collaborazione di Domenico Casasanta e di alcuni altri soci coltivatori di grani e fagioli locali tradizionali.“L’agricoltura” sostengono, “è fondamentale per fare gruppo, riscoprire il senso di comunità, fare economia, contrastare lo spopolamento”.

Tra i fiori all’occhiello del progetto agricolo, spicca il recupero del Fagiolone campogiovese. “Seme salvato dall’oblio in extremis, lo abbiamo avuto dal nostro concittadino Marcello D’Amico” racconta a Virtù Quotidiane Giorgia, dottore in scienze naturali, responsabile del progetto di agricoltura rigenerativa portato avanti da Tavola Rotonda.

D’Amico per inciso ricorderanno i nostri lettori, è l’appassionato ferroviere-agricoltore hobbista-ex presidente della Pro Loco, indispensabile mentore della nuova generazione locale, che da sempre si prodiga nel far riscoprire le molte risorse di Campo di Giove, interpretandone capacità di resilienza e di accoglienza .

“Da quattro anni a questa parte coltiviamo a 1.200 metri di altitudine, piccoli appezzamenti incolti avuti in comodato d’uso dagli abitanti soci, un ettaro e mezzo in tutto” raccontano Mimmo e Giorgia, coppia che ha scelto la natura selvaggia del Parco Maiella per il proprio progetto di vita “fuori dagli schemi”, e fuori dalla propria terra d’origine.

“Custodiamo il seme originario della zona e coltiviamo solo quello. Tutti i fagioli, come anche il granoturco Ottofile e il grano solina per i quali sarà presto attivato il primo mulino di comunità, sono frutto di un lungo percorso che parte dalla ricerca del seme dagli anziani contadini. Coltiviamo il terreno senza concimare, non lo sfruttiamo grazie all’alta biodiversità che conserva, d’inverno è pascolato dagli animali selvatici e per noi è più che sufficiente. Preferiamo questo tipo di approccio e una resa inferiore a garanzia di tutela della biodiversità, un’agricoltura che tenda a rigenerare il territorio piuttosto che consumarlo. Raccogliamo e lavoriamo a mano, sempre con metodi naturali”.

“Per entrambe le varietà di fagioli, Gialletto campogiovese e Fagiolone, si è avviato lo studio genetico in collaborazione con Parco Maiella e facoltà di agraria di Perugia” prosegue Giorgia.

In un panel con altri fagioli, si è visto così che il Gialletto, espressione di una famiglia di fagioli presenti sulle montagne abruzzesi con ecotipi differenti adattati al luogo, con le sue venature dorate è peculiare del territorio campogiovese. La sua valorizzazione è portata avanti da Domenico Capaldo, tra i primi con la sua famiglia a nominarlo “Gialletto”. Capaldo ha riunito piccoli produttori locali, quasi tutti hobbisti, nella Comunità di prodotto e portato all’attenzione scientifica l’autenticità del Gialletto, “si spera nel presidio Slow Food, ci sono tutte le condizioni” dichiara.

Quanto al Fagiolone, “può vantare identità propria, si trova solo qui a Campo di Giove ed esprime una diversità genetica” fa sapere Giorgia, “nell’aspetto è quasi indistinguibile dal fagiolo di Spagna dal baccello lungo e dritto, diversamente il baccello del Fagiolone ha forma di luna araba perciò è detto lunatus”.

“Tutti i fagioli hanno grande capacità di adattamento ma quello di Campo di Giove piantato nei paesi vicini cresce male o a stento. È importante coltivarlo in altitudine, il Fagiolone ama il fresco e con il surriscaldamento del pianeta la quota di coltivazione ottimale si è elevata sopra i 1.200 metri”.

“Il riconoscimento e la conservazione dell’unicità del Fagiolone da parte della Banca del germoplasma del Parco sarebbe un traguardo importantissimo” commenta l’esperta naturalista “Servirà” considera “a proteggere e legittimare questo seme dalle appropriazioni e manipolazioni di alcune aziende private che si riforniscono dei campioni dalle banche del seme, peraltro gratuitamente, per poi creare piante brevettate” .

“Più dell’ufficializzazione burocratica, comunque importante, questo riconoscimento mi ha molto emozionata e ha dato un senso al mio percorso” aggiunge. “Quattro anni fa avevo appena dieci metri quadrati di orto e i pochi fagioli che mi aveva dato Marcello, pensavo non sarei andata da nessuna parte in quel modo. Oggi abbiamo i nostri fagioli, li abbiamo confezionati e possiamo proporli ai turisti che vengono a Campo di Giove, resteranno sorpresi per il sapore particolare, pieno, dolce e piccante insieme, un gusto a prova di gourmet. Se conservati sottovuoto il tegumento tende a indurire ma noi li conserviamo in maniera naturale, una volta essiccati facciamo un trattamento col freddo per scongiurare la presenza di parassiti, dopodiché possono anche essere seminati, oltre che mangiati, ne consigliamo l’ammollo lungo a garanzia di una perfetta digeribilità”.

“Immagino” e chiude, “la bellezza di un piatto di fagioli di colori e sapori diversi, tipici di questa montagna. Valorizzarli con un marchio istituzionale sarà il nostro prossimo proposito”.

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