Piatti e prodotti 17 Ago 2024 18:01

I krumiri, storia dei biscotti piemontesi dall’etimologia contrastante e dalla forma inconfondibile

I krumiri, storia dei biscotti piemontesi dall’etimologia contrastante e dalla forma inconfondibile

CASALE MONFERRATO – Sono in molti a domandarsi il perché di questo nome dalla storia così particolare. Non ci sono dubbi, invece sulla bontà di quello che è il biscotto simbolo della regione Piemonte: i krumiri. Nati nell’alessandrino, sono oggi legati indissolubilmente all’arte pasticcera locale in tutto il mondo. Quello che li contraddistingue, oltre alla loro innegabile bontà, è il nome, legato a storie politiche e vicende belliche.

I krumiri di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, sono frutto dell’ingegno di Domenico Rossi, titolare del Caffè della Concordia. Il Bottegone, com’era chiamato il locale, era un luogo frequentato dai fedeli sostenitori del post Risorgimento. Nel 1878, nel pieno degli ardori del periodo e in una serata in cui il tasso alcolico si era rivelato superiore alla media, il pasticcere Domenico Rossi si inventò dei biscotti in grado di rendere più sostenibile la sbornia.

Leggenda o realtà, non ci è dato saperlo, ma la storia conferma la loro invenzione qualche anno più tardi, per la precisione nel 1884, quando i krumiri vengono premiati all’esposizione Universale di Torino. Un successo dilagante che porta la brevettazione solo in tempi più recenti, nel 1972.

Cosa rende unici questi biscotti in tutto il mondo? Potrebbe essere la semplicità delle materie prime che contano burro, zucchero, uova, farina e vaniglia, purché siano buoni. O forse la caratteristica forma ricurva che pare si rifaccia ai baffi di Vittorio Emanuele II deceduto proprio nel 1878.

Che siano una dedica postuma o un frutto del più effimero destino, i krumiri fecero conquistare a Domenico Rossi il titolo di “Provveditore della Casa di Sua Altezza il Duca di Aosta e della Reale Casa d’Italia nella persona di Umberto I”. Il lavoro dell’ormai celebre pasticcere non è andato perduto negli anni Venti, quando Angelo Ariotti rilevò l’attività e proseguì l’operato cedendo le redini a Ercole Portinaro solamente nel 1953.

È questo il periodo in cui i krumiri hanno conquistato il globo. Un’abile operazione di marketing li ha portati dalle pause cafè al Quirinale, fino allo Studio Ovale della Casa Bianca, tant’è che Bill Clinton ci tenne a ringraziare personalmente la famiglia Portinaro per l’eccellenza del biscotto. Una ricetta che non è mai cambiata nel corso della storia e che viene realizzata ancora a mano. Un’artigianalità che si vede nelle forme mai perfettamente sovrapponibili e nel gusto che ricorda i sapori di casa.

Come si mangiano queste piccole perle della pasticceria piemontese varia in base al gusto personale. Di base si prestano in maniera eccelsa per qualsiasi accompagnamento: dal caffè del mattino al tè del pomeriggio, senza disdegnare un tuffo nello zabaione. Farne scorta è più semplice del previsto visto che direttamente nel negozio vengono venduti sfusi, mentre è possibile acquistare le latte rosse da collezione in qualsiasi parte del mondo.

Venendo all’etimologia, non è ancora possibile dirsi risolto il mistero dell’associazione del nome al biscotto. I Khumir erano una tribù tunisina molto propensa alle battaglie, tanto da convincere la Francia a invadere la Tunisia e iniziare uno scontro nella seconda metà dell’Ottocento. Da quel momento divenne un epiteto utilizzato in modo razzista per indicare gli immigranti in Francia, ma anche coloro che non presero parte al grande sciopero portuale tenutosi a Marsiglia nel 1901.

Nulla di piacevole, insomma, ma sia in Italia, con gli originali, che in terra francese con i Kroumirs di pasta di mandorle opera di August Redon del 1895, il termine ha una valenza dolce e riconciliante. Quella di qualcosa che viene lavorato con le proprie mani, seguendo una ricetta storica e continuando a conquistare il favore del pubblico in tutto il mondo.

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