ECCIDIO DI SANT’AGATA, LA STRAGE NAZISTA RIMASTA IMPUNITA

GESSOPALENA – La zona del Sangro-Aventino fu occupata dai tedeschi in ritirata nell’autunno del 1943. Razzie, saccheggi, violenze, deportazioni accompagnarono la loro presenza, fin a degenerare, in alcuni tragici episodi, in esecuzioni sommarie e in stragi efferate.
L’eccidio di Sant’Agata, un pugno di casolari nella campagna compresa tra il letto del fiume Aventino e Gessopalena (Chieti), è uno dei casi più atroci e insensati.
A fronte di 2 soldati tedeschi uccisi e 2 feriti in un’imboscata della nascente Brigata Maiella furono trucidati 42 civili, per lo più bambini, donne e anziani fuggiti dal vicino borgo di Torricella Peligna. Una strage che non ha avuto né giustizia né colpevoli accertati, una strage sulla quale solo negli ultimi decenni si è provato a far luce.
La notte tra il 4 e il 5 dicembre del ’43 i nazisti, prima di ritirarsi a Torricella Peligna, postazione difensiva privilegiata dell’area, minarono e distrussero l’intero paese di Gessopalena, lasciando solo macerie davanti agli occhi impietriti degli abitanti. Bombardamenti dagli aerei alleati, strategia della terra bruciata dai tedeschi, colpi di mortaio e cannonate tra i due eserciti opposti scandivano quei giorni gelidi d’inverno.
La guerra era in stallo in attesa della primavera. Nel mezzo quotidiane violenze: i soldati della Wermacht erano alla continua ricerca di cibo. Requisivano tutto ciò che trovavano e non esitavano a giustiziare chiunque si opponesse. La vita valeva meno di un sacco di farina o di un maiale, valeva meno di un sospetto aiuto alle bande di partigiani.
Alla popolazione era stato dato l’ordine di evacuazione totale, i civili dovevano essere deportati a Sulmona, ma non tutti ubbidirono, non tutti potevano affrontare quel viaggio. L’unica soluzione, dunque, era nascondersi e aspettare, resistere e sperare. Non sempre, però, fu possibile: decine di civili caddero in quei primi giorni del ’44.
Dopo la morte dei due soldati tedeschi avvenuta nell’agguato del 20 gennaio, la situazione precipitò. All’alba del giorno seguente, i militari irruppero nella frazione di Sant’Agata e ordinarono a tutti di radunarsi in un unico casolare. Chi non ubbidì fu passato subito per le armi.
Bloccate le porte dall’esterno, iniziò il lancio di bombe a mano nell’edificio. I nazisti lanciarono circa trenta ordigni che provocarono il crollo del pavimento. La morte sopraggiunse quasi per tutti i civili, se non per le ferite, per asfissia.
Tra le macerie e i corpi, rimasero vivi tre fratelli, Nicoletta, Antonio e Leonardo Di Luzio, che si finsero morti nascondendosi sotto i cadaveri. Ma la ferocia dei tedeschi non si esaurì. Entrarono nel casolare e, accostando una fiamma al viso di ogni persona, verificarono che il loro scopo fosse stato raggiunto. Nicoletta, in una testimonianza, racconterà di aver resistito al tizzone ardente fingendosi morta.
Per cancellare le tracce del massacro e per finire gli ultimi sopravvissuti, i tedeschi appiccarono fuoco al casolare. L’aria divenne subito irrespirabile e i tre ragazzi, a quel punto, provarono a scappare per mettersi in salvo. Leonardo fu ucciso sulla porta dai soldati rimasti di guardia, Antonio e Nicoletta caddero sotto le sventagliate di mitra, ma rimasero solo feriti agli arti.
Quando si riebbero, i due fratelli restarono per lungo tempo in attesa fintanto che la situazione non si fosse calmata. Solo a quel punto si trascinarono fino a un casolare vicino, dove furono aiutati da altri compaesani di Torricella e accompagnati nel pronto soccorso alleato di Gessopalena.
Dell’eccidio di Sant’Agata non restano che una targa, un cippo in ricordo dei caduti e queste scarne e terribili testimonianze, ma soprattutto, per chi volesse visitare questo luogo di memoria e portare così il proprio cordoglio, i resti diroccati di quel vecchio casolare.