Andrea Straccini fotografo di mondi paralleli, dall’arte dell’immagine alla collaborazione con Niko Romito

PESCARA – “Niko? È arrivato senza cercarlo, senza ansia, ho sempre creduto che le cose arrivino in modo naturale, dal trovare parcheggio a conquiste più decisive”. Andrea Straccini, pescarese classe 1980, è il fotografo ufficiale dei vip in passerella al Premio Flaiano, degli artigiani del gusto di Qualità Abruzzo e dei vignaioli del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo. È anche l’autore del racconto, molto di nicchia, per video e immagini del progetto di rigenerazione rurale Pollinaria di Gaetano Carboni e del suo gruppo internazionale tra arte contemporanea e agricoltura, in terra vestina. E certamente non per ultimo, è il fotografo del superchef abruzzese Niko Romito e del suo Gruppo in strategica espansione con le nuove Stazioni del Gusto in partnership con Eni, aperture che il fotografo pescarese immortalerà.
Autodidatta, tesi di psicologia abbandonata per seguire la sua passione, calarsi anima e corpo nel mondo che più lo affascina attraverso una macchina fotografica, Straccini si è raccontato a Vq con la delicatezza che sempre lo accompagna.
Straccini, un portfolio di tutto prestigio in vent’anni di carriera. Come ti sei avvicinato alla fotografia?
Non ho fatto studi specifici, ho una formazione da autodidatta. C’è un episodio che mi ha dato la consapevolezza necessaria. Lavoravo alla messa in onda per TvQ, in pratica mandavo le cassette con i servizi registrati. Nella mezz’ora tra un programma e l’altro, una mattina ho visto in edicola l’inserto del National Geographic con un corso di fotografia di base e in copertina, supercolorata, il ritratto di un bambino fatto da Steve McCurry (il celebre fotoreporter della Magnum Photos, ndr). Per me una rivelazione che mi ha dato il “la”, ho pensato di acquistare quella dispensa e non essendoci l’edicolante di turno me ne sono impossessato, in pratica l’ho rubato. Quindici anni dopo, nel 2019, ho avuto l’onore di ritrarre il grande fotografo statunitense giunto a Pescara per ritirare il Flaiano alla Carriera. Un’emozione per me quel momento, mi ha dato la conferma di stare facendo la cosa giusta, era un cerchio che si chiudeva. Così sono tornato da quell’edicola, ho raccontato all’edicolante del mio gesto di quindici anni prima e ho lasciato una piccola somma simbolica.
Oggi lavori a quello che più ti piace e hai conciliato gli opposti: fotografia commerciale e food per prestigiosi magazine nazionali, in parallelo porti avanti il tuo racconto d’autore di viaggi, incontri, storie in b/n. Com’è andata?
Ho cominciato scattando foto per il quotidiano abruzzese Il Centro così come capitava, cronaca, news, eventi. Una cosa pressoché inutile e strana per me che provenivo da un tipo di fotografia essenzialmente artistica e molto autoreferenziale, facevo still life molto techno tratti da rave party dove mi perdevo completamente nelle suggestioni musicali. Ho sempre portato avanti parallelamente al lavoro commerciale una mia fotografia personale, artistica, come artistico è anche il mio approccio alla musica o alla lettura che preferivo di gran lunga mentre i miei coetanei giocavano a pallone… Con il fotogiornalismo ho approcciato il reportage, il racconto per immagini che si è rivelato una palestra incredibile per me, l’approccio con le persone. Ho capito che mi piaceva fare il ritrattista per le pagine della cultura in modo particolare, quando ho ritratto il professor Raffaele Colapietra (lo storico aquilano scomparso 92enne lo scorso aprile). Poi però ho capito quanto mi andasse stretto il lavoro per il giornale, prevaleva la ricerca di una fotografia meno estetica e più descrittiva, alla portata di tutti. Mentre io ero alla ricerca di una fotografia più criptica e intima. Andavo alla ricerca dell’errore ovvero del soggetto colto in un momento di spontaneità, una fotografia diversa e più libera, per me soprattutto. Preferisco lavorare un giorno in meno ma non limitare la mia libertà. Dopo l’avvio della collaborazione con Niko Romito, tre anni fa, mi hanno chiamato da Condé Nast Italia. Per Traveller e La Cucina Italiana racconto il territorio italiano e le sue eccellenze, ambiente, ritratti, prodotti, food.
Come sei entrato nel mondo di Niko Romito?
Con Niko ho iniziato dall’apertura a Pescara del suo temporary Bomba. Mi chiamò da facebook con mia grande sorpresa, disse che non si aspettava tanto successo e che pensava di aver bisogno di un racconto per immagini su quanto accadeva, molto semplicemente. L’ho presa con leggerezza, una cosa figa, la gente andava lì davanti anche solo per fare selfie. Un mese dopo mi ha fatto chiamare per chiedermi se mi andava di collaborare con lui in modo totale, effettivamente “un lavoro grande, importante” come mi anticipavano, un lavoro che mi impegna molto tempo perché i progetti da raccontare sono davvero tanti, cose che cambiano, ogni giorno Niko inventa qualcosa che sia in Accademia o un nuovo prodotto del Laboratorio, è un personaggio bellissimo al centro di una grossa squadra, formata dalla sorella Cristiana, suo braccio destro e socia del Reale Casadonna, il sommelier storico Gianni Sinesi, e molte altre figure che continuo a raccontare.
Quali indicazioni hai seguito per fotografare il grande chef di Castel di Sangro ?
Nonostante sia un filosofo Niko è un tipo di poche parole e non è facile rubargli il ritratto in dieci minuti di orologio a disposizione. Io scelgo set e pose, in realtà. Ho voluto fotografarlo contro il muro bianco del Casadonna venato dal rampicante verde (vedi foto ….) perché quel giorno c’era una luce morbida molto zen e naturale. Vestito di bianco puro, la testa rasata, la barbetta brizzolata, sembra quasi un asceta, quel verde dietro di lui mi ha fatto pensare a due ali aperte. In quello scatto c’è la verità, il suo racconto del vegetale, la natura, quella sua aura quasi monacale, essenziale nella dedizione al lavoro, lo sguardo verso l’esterno col pensiero da un’altra parte, com’è anche in conversazione. Piatto iconico dell’ultimo anno è diventato Il Broccolo e l’Anice posti al centro del piatto di porcellana bianca bordata da un filo d’oro, una foto zenitale, cioè presa dall’alto, che più ha girato ai convegni dove lui è intervenuto.
Lavorare per Romito e il suo Gruppo è stata per te una sorta di consacrazione?
Diciamo che ho fatto quadrato intorno al mio lavoro, mi sono fatto notare un po’ di più. Sono autodidatta, ripeto, ma penso che l’occhio fotografico ce l’hai o non ce l’hai, è un istinto di sensibilità che puoi sviluppare ma prima devi sentirlo dentro, prima dello studio ci vuole quell’occhio lì. E poi, come dico anche ai ragazzi che mi chiedono consigli, per poter lavorare bene servono anche umiltà, capacità di adattamento, ascolto, rispetto, cose basilari in ogni settore e molto importanti. Magari il fotografo artista può anche fottersene, invece per me è importante prima di tutto capire le persone che ho di fronte. Nello scatto cerco di metterci del mio fermo restando l’obiettivo di raccontare quel soggetto. Sarà che ho studiato psicologia, girare per fare foto è e rimane la mia passione. Che non ho mai esibito al pubblico, forse per timidezza.
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