LO CHEF ABRUZZESE DAVIDE DI FABIO SUL TETTO DEL MONDO CON MASSIMO BOTTURA

BELLANTE – Una pasta al pomodoro può non essere una semplice pasta al pomodoro, quando a scegliere, dosare e amalgamare gli ingredienti è un cuoco come Davide Di Fabio, sous chef dell’Osteria Francescana di Massimo Bottura, da poco eletto miglior ristorante al mondo.
Una vittoria desiderata ma non attesa, festeggiata con tutto lo staff del ristorante stellato di Modena ma senza dimenticare impegni e professionalità. Già il mattino dopo l’annuncio del premio “siamo tornati al lavoro con l’attenzione di sempre”.
“Ho una sorta di ossessione per i pomodori – svela poi Davide a Virtù Quotidiane che lo ha raggiunto telefonicamente prima di vederlo sparire a bordo di un volo intercontinentale – li seleziono con attenzione. In un evento due anni fa, abbiamo presentato un piatto che era proprio una riflessione, un gioco sugli abbinamenti con il pomodoro”.
Una ricetta semplice ma elaborata allo stesso tempo, con l’intento di rimandare il sapore delle merende di un tempo e dunque “scherzando sul nome, pomo, associandolo alla frutta, quindi mele e pere, creare una sorta di insalata con diversi tipi di pomodori, servita in un brodo di acqua sempre di pomodoro, con del pane tostato, olio al basilico e cipolla”.
La bontà della tradizione con il tocco sapiente di chi dell’innovazione ne ha fatto la propria filosofia di vita e lavoro.
Abruzzese di origine, suo padre è originario di Bellante, in provincia di Teramo, della gente “forte e gentile” ha di sicuro ereditato la testardaggine.
“Sapevo fin da bambino che il mio mestiere sarebbe stato quello del cuoco – racconta ancora lo chef – fino a sei anni ho vissuto a Milano, città di origine di mia madre, e a casa stavo lì a giocare con pentole e tegami, mi piaceva stare in cucina”.
Momenti di tranquillità familiare “magari al sabato, quando c’era più tempo per preparare una torta al cioccolato, per esempio. Io ero sempre lì a curiosare. Poi un giorno, i miei genitori erano fuori casa, restai con mia sorella più grande. Mia madre mi assegnò il compito di preparare la pasta”.
Una roba semplice, all’apparenza, ma che vista da un bimbo di sei anni può diventare l’episodio da ricordare per sempre, “l’acqua che bolliva, da salare e di lato la pentola con la salsa di pomodoro, dentro cui scolare la pasta. Feci l’esatto contrario: sugo al pomodoro nella pentola piena d’acqua e pasta, venne fuori una specie di minestra. Ma è stata la prima volta che ho davvero cucinato”.
Si può sorridere, da qualche parte la via per il successo deve pur cominciare, e per Chef Di Fabio è iniziata di sicuro dalla testardaggine di voler fare a modo suo, di seguire in ogni caso la sua inclinazione e indirizzare la passione per l’arte, la creatività, l’architettura verso il mondo della cucina e della ristorazione scegliendo di frequentare la scuola alberghiera.
“Sono una persona che non si accontenta mai – dice con una nota di orgoglio – devo sempre dare di più e sono molto pignolo con me stesso. Non mi bastava quello che si faceva a scuola e ho iniziato a seguire associazioni, corsi ed eventi fuori, con disappunto degli insegnanti quando capitava che saltassi le lezioni per questi motivi”.
Avere ben chiaro il proprio futuro, l’obiettivo da centrare, forse è il primo ingrediente, per realizzare i sogni, e la teoria che nulla accade per caso ma in qualche modo la vita mandi dei segnali da cogliere che possono trasformarsi in opportunità, avviene più spesso di quanto si pensi.
“Una mattina sotto un banco, a scuola, trovai una rivista: era l’anno in cui Bottura prese la prima stella Michelin e leggendo dei suoi piatti mi innamorai della sua filosofia. All’epoca, primi anni 2000, non c’era internet – ricorda Di Fabio – così andavo dal giornalaio e gli chiedevo di mettermi da parte tutte le riviste che in qualche modo parlavano di Massimo e dell’Osteria Francescana”.
Finita la scuola, inizia il percorso lavorativo, da un ristorante all’altro, da una cucina all’altra e di curriculum inviati a quelli che sono considerati i templi dell’alta ristorazione.
“Il primo a rispondermi, nemmeno a dirlo, fu Massimo Bottura. Ero in macchina con i miei e preso da non so cosa rifiutai. Per fortuna, una volta a casa, i miei genitori mi convinsero a ripensarci e di lì a venti giorni ero al lavoro nella cucina di Massimo. Da allora sono passati 14 anni”.
Cucinare è un modo per vivere, una forma d’amore per se stessi e per gli altri, che siano i commensali di una conviviale privata o i clienti di un ristorante. È professionalità e amore per il lavoro, farlo con impegno, studio, disciplina e costanza “non ci si può improvvisare, seguendo, in un certo senso, le mode del momento”.
Alla domanda, se preferisca più la tradizione o l’innovazione in cucina, Davide risponde con un aneddoto che è più un insegnamento: “Avevo iniziato a lavorare in uno dei migliori ristoranti al mondo, avevo 19 anni e la voglia di spaccare il mondo. Massimo Bottura mi disse ‘da oggi tu preparerai da mangiare per lo staff, a pranzo e a cena, perché prima di imparare a cucinare, prima di imparare cosa vuol dire innovazione devi conoscere la tradizione in modo perfetto anzi di più'”.
“Se non sai fare bene uno spaghetto al pomodoro, non saprai mai creare un piatto che ricorda uno spaghetto al pomodoro, ma in maniera diversa. Innovativa”. Beatrice Reggio
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