Riccardo Brighigna: “Vi racconto il mio Master of Wine (mancato per un soffio). Una prova anche fisica”
PESCARA – Avrebbe potuto essere il quarto Master of Wine italiano. Il suo nome poteva affiancarsi a quello di Gabriele Gorelli, Andrea Lonardi e Pietro Russo, i guru del vino italiano che hanno ottenuto la prestigiosa qualifica internazionale ideata da una delle più antiche organizzazioni del vino al mondo.
Non ci è riuscito per un soffio, ma il bagaglio culturale, esperienziale ed emotivo che ha immagazzinato in un percorso durato dieci anni vale forse di più della qualifica in sé.
In un mondo in cui mettersi in mostra, vantarsi e raccontare immagini scintillanti e patinate di sé stessi pare ormai la regola, Riccardo Brighigna, enologo abruzzese di sessant’anni (nativo di Città di Castello nel perugino, ma trapiantato con la sua famiglia a Pescara dall’età di quattro anni) non ha invece timore di raccontarsi senza filtri, rivelando anche la conclusione di un percorso difficile e complesso, mancando di poco l’obiettivo finale.

Gabriele Gorelli, Pietro Russo, Riccardo Brighigna e Andrea Lonardi
“Le statistiche parlano chiaro, e cioè che solo un sei–sette per cento di chi inizia nel programma poi effettivamente ottiene il riconoscimento”, chiarisce l’enologo che ha mosso i primi passi da operaio nelle cantine all’età di 14 anni, per poi fare via via carriera, fino a diventare un professionista affermato con consulenze in tutta Italia.
“L’investimento è enorme sia in termini di tempo che a livello economico, tra corsi, prove di esame e bootcamp in giro per il mondo. Non avrei mai immaginato di arrivare dove sono arrivato. Sono andato oltre le mie aspettative e vado orgoglioso”, continua Brighigna. “Mi dispiace solo per la mia famiglia, i miei amici, clienti e tutti quanti hanno fatto letteralmente il tifo affinché raggiungessi questo obiettivo”.
La vita di Brighigna si incrocia quasi per caso con quella del circuito dei Master of Wine quando nel 2015 si ritrova ad una delle masterclass organizzate nella cantina Lungarotti a Torgiano (Perugia) dall’istituto basato a Londra, fondato nel 1955 per elevare gli standard professionali nel settore del vino.
“Era un corso di tre giorni, che terminava con un esame di ingresso”, ricorda Brighigna, che è enologo per cantine abruzzesi tra cui il gruppo Tollo e diverse aziende private ed è anche coordinatore enologo di tutto il gruppo Prosit. “Andai per curiosità e senza alcuna preparazione, e infatti non passai l’esame”.
Quello stop diventa per Brighigna “una sfida. Per me il vino non è solo un lavoro. È una questione di vita. Colleziono vini, partecipo a tantissime degustazioni in giro per il mondo. Così ho iniziato a studiare e approfondire il vino internazionale”.
Nel 2016 l’enologo partecipa ad una nuova masterclass, questa volta nella cantina Mastroberardino, nell’avellinese, e su venti è tra i due candidati che passano l’esame. Il programma per Brighigna inizia ufficialmente nel 2018 ed è fatto di “sveglia tutti i giorni alle 4.30, bootcamp in giro per il mondo, corsi, degustazioni di sei-settemila vini all’anno, prove di esame con i Master of Wine. Nel 2019 ho conseguito lo stage one. Danno due occasioni per superare quell’esame, ed un buon cinquanta per cento dei candidati lì si ferma. Io l’ho passato alla prima sessione”.
La prova consiste nella degustazione alla cieca di 12 vini in due ore un quarto, su cui i candidati devono individuare una serie di elementi, tra i quali origine, qualità, processo di produzione, appeal commerciale e dei grandi classici anche le annate. E poi la scrittura di due saggi che nel caso di Brighigna hanno riguardato uno la viticoltura e uno l’enologia. È da lì che si apre la fase finale per l’enologo per arrivare alla qualifica. I candidati possono provarci per un massimo di tre volte, saltando una sessione (gli esami sono a giugno di tutti gli anni).
L’ultima prova si divide in quattro giorni. Sono previste le degustazioni alla cieca di 12 vini bianchi, 12 rossi e 12 misti (spumanti, rosati, fortificati, orange e altri). E poi la scrittura di saggi sulla viticoltura, controllo qualità e sicurezza alimentare, marketing commerciale e temi contemporanei.

“È una prova mentale, ma anche molto fisica”, confessa. “Mi sono allenato tutti i giorni, ho seguito una determinata alimentazione, mi sono fatto affiancare da una psicologa dello sport. Oggi è cambiato il mio modo di assaggiare i vini. In trenta secondi un vino mi dice tutto”.
Ma quello che è cambiato per Brighigna è anche il suo approccio nel fare un vino. “Prima tendevo a seguire più i miei gusti, o la filosofia del produttore. Oggi quando faccio un vino penso soprattutto al consumatore, a dove deve andare, in quanto tempo deve essere consumato. Credo che si stia facendo una grande confusione tra la qualità di un vino e lo stile. Va bene che il mercato chiede vini meno strutturati, più beverini, perché sono cambiate le abitudini anche alimentari, ma ci sono dei parametri che non possono mancare in bottiglie di un certo livello, come la persistenza, l’intensità del frutto, o la profondità. Trovo spesso moltissimi vini sempre meno centrati di qualità”.
Con l’ultimo tentativo fatto, Brighigna dovrà ora aspettare due anni per riprovare. Ma nel frattempo visto che “amo molto lo studio, ho già iniziato un altro percorso”. Quello per entrare nella corte dei Master of Sommelier, quattro livelli, Introduttorio, Certificato, Avanzato, Master, per diventare massimi esperti della sommellerie. “Qui si affronta un livello molto approfondito sulle tecniche del servizio, la gestione della cantina e altri aspetti. Ho passato i primi due livelli e tra due anni farò l’esame del terzo”.

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