Il tormentone dazi irrompe al Vinitaly. Dai nuovi mercati all’intesa con gli importatori, le voci di due colossi italiani
di Serena Leo
VERONA – Che si dovesse parlare di dazi durante Vinitaly 2025 era più più che scontato, ma ciò che ha sorpreso è stata la calma – ovviamente apparente – dei produttori. Infatti è comune il sentiment di restare a guardare le prossime mosse di Trump che non sono tardate ad arrivare.
Con la messa in pausa dei dazi per 90 giorni anche il mondo del vino tira un sospiro di sollievo anche se, per fortuna, aveva già iniziato ad organizzarsi. Per scoprire di più siamo andati a sentire due voci di chi ci mette la faccia sul mercato statunitense in versione frizzante e ferma, Cà di Rajo e Astoria Wines.
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“Sicuramente questa situazione creerà difficoltà, ma bisogna saper fare distinzione quando si parla di Prosecco” ha detto Filippo Polegato, amministratore delegato di Astoria Wines che con gli Usa mantiene un rapporto commerciale importante.
“Contano le diversità, l’impatto sul mercato riguardo le tipologie commercializzate. I prodotti di primo prezzo saranno più penalizzati rispetto a quelli di fascia premium. Il primo appuntamento a Vinitaly l’abbiamo avuto proprio con il nostro importatore di New York e con lui c’è stata subito un’intesa volta al condividere le responsabilità del dazio in modo da assorbire noi l’aumento di prezzo e non il consumatore finale”.
Una situazione riproposta e che ha messo subito gli animi a tacere, lasciando le paure fuori dalla festa del vino di Verona.
Secondo Simone Cecchetto dell’azienda trevigiana Cà di Rajo quello dei dazi è un “tormentone ma non troppo” invitando a mantenere la calma e affidandosi al saper fare del mondo vino.
“Come produttori di Prosecco e Pinot Grigio, vini molto amati dagli americani, i dazi creano delle perplessità, ma ci stiamo organizzando. Siamo fortunati ad avere consorzi alle spalle in grado di lavorare bene. Ora è il momento di ascoltare il mercato in modo da non perdere nessun consumatore. Infatti ci stiamo muovendo per avere prodotti con un impatto alcolico inferiore che, comunque vada, interessano e interesseranno i buyer stranieri, soprattutto gli statunitensi”.
E se offrire prodotti che cavalchino l’onda salutista anche oltreoceano può essere una delle risposte a cui il mondo del vino si affida, certamente nessuno dei produttori interpellati è disposto a rinunciare agli Usa in favore di altri mercati, piuttosto si cercherà di affiancarli in un processo lento e ragionato.
“Siamo da sempre presenti nei mercati europei e canadesi. Non ci precludiamo però altre vie come il mercato asiatico che si sta affacciando ora al mondo del vino, così come l’africano. Prevediamo uno sviluppo interessante anche lì man mano che la cultura al consumo del vino crescerà”, continua Cecchetto.
Anche Polegato che importa in 110 paesi nel mondo è convinto che l’impatto sarà meno negativo se si andrà a diversificare lo smercio dei prodotti: “Ci sono paesi in via di sviluppo, nuovi mondi, che già ci stanno dando soddisfazioni. Tra questi c’è la zona del Sud est asiatico e l’Africa. I buyer più incuriositi dal Prosecco ad oggi, sono i sud americani. Dal Cile, Perù e Argentina, c’è voglia investire e le condizioni economiche, con l’avvio di nuovi accordi in vigore dal 2025, lo favoriscono”.
Per il nord est che produce bianchi di pronta beva e col Prosecco che ormai, è un vero e proprio biglietto da visita tricolore, arrendersi ai dazi non è concesso e così non si spegne l’entusiasmo nel voler produrne ancora vini di alta qualità. Sia Cecchetto sia Polegato ritengono che in questo momento sia necessario guardare gli eventi, puntando sempre e comunque all’insostituibilità del made in Italy quando si parla di agroalimentare.
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