Personaggi 22 Nov 2025 15:58

Dal forno che ha scongiurato l’emigrazione alla riscoperta della Solina. Parola a Bruno Chelli, il “papà” del Pane di Prata

PRATA D’ANSIDONIA – Lo scambio a scuola tra lo sfilatino “di città” e la pagnotta, che invece era il tipico pane prodotto nei paesi. La necessità di trovare una strada che potesse scongiurare l’emigrazione. Le difficoltà del lavoro agricolo in quella che solo fino a pochi decenni fa era una civiltà ancora contadina. Il forno che il bisnonno metteva a disposizione della comunità e nel quale tutte le famiglie andavano a cuocere il pane.

È un’istantanea in bianco e nero quella scattata da Bruno Chelli, che a 82 anni trascorre ancora le notti al forno a governare gli impasti. A lui, che ha dedicato una vita alla panificazione, si deve anche la riscoperta del grano Solina, che fece conoscere a Carlo Petrini fino a farlo diventare Presidio Slow Food.

Bisogna tornare agli anni Sessanta per raccontare le origini del Pane di Prata: “Con l’agricoltura non si viveva e allora mi decisi ad andare fuori”, racconta, “dopo un periodo all’estero, tra Libia e Australia, messo davanti alla necessità di scegliere tra il portare con me anche la famiglia, e quindi espatriare, o tornare, decisi di rientrare. A quel punto si pose il problema del lavoro, ma mia madre con una certa lungimiranza – mentre io ero fuori – aveva preso la licenza per un forno, anche se non lo aveva attivato. Io iniziai a pensarci e, raccogliendo una tradizione che partiva dal mio bisnonno ma si era interrotta, intrapresi questo lavoro co l’unica ambizione di poter vivere a casa mia senza andare all’estero”.

Ha visto cambiare il mondo, Bruno, ma oggi il suo essere rimasto fedele alla tradizione lo sta aiutando, grazie alla riscoperta dei sapori antichi e genuini: “Con il passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, la panificazione si è un po’ industrializzata. Con il passare degli anni c’è stato un ritorno e io mi sono trovato ad essere nella posizione giusta, perché facciamo il pane che facevano i miei nonni”.

A segnare una tappa importante nel percorso di riscoperta e valorizzazione dei prodotti e delle tradizioni locali, è stato poi l’incontro con Petrini. “Mi chiese cosa si potesse preservare dell’Aquila. Risposi che avevamo il canestrato di Castel del Monte e il grano Solina. Non li conosceva, per il canestrato prese contatti con Giulio Petronio e oggi il canestrato è conosciuto dappertutto. Con la Solina gli spiegai che usciva un pane con un gusto particolare, a fronte della bassissima resa ha uno straordinario sapore. Fu più complicato perché non c’era, non si trovava neanche il seme. Siamo riusciti a recuperarlo tra la Valle Subequana e l’Alto Sangro e abbiamo ricominciato a coltivarlo. Iniziammo a farci il pane e Slow Food faceva in modo di farlo conoscere in tutta Italia. Proposi di pagarlo di più e questo ha invogliato a ricoltivarlo”.

Sull’attualità e sul futuro, però, Bruno è pessimista: “Sia quello del fornaio, sia gli altri mestieri tradizionali sono morti. I giovani non sono incentivati a continuare perché sono lavori di sacrificio”, rileva. “Vale per il fornaio così come per il falegname o il muratore”.

 

L’intervista a Bruno Chelli è stata realizzata nel ristorante Il Borgo dei fumari, che ringraziamo per l’ospitalità.


Sostieni Virtù Quotidiane

Puoi sostenere l'informazione indipendente del nostro giornale donando un contributo libero.
Cliccando su "Donazione" sosterrai gli articoli, gli approfondimenti e le inchieste dei giornalisti e delle giornaliste di Virtù Quotidiane, aiutandoci a raccontare tutti i giorni il territorio e le persone che lo abitano.