FABIO RICCIO: ECCO COM’È CAMBIATA LA PIZZA, I RUOLI DELLE GUIDE E LE RESPONSABILITÀ DI INFLUENCER E COMUNICATORI

L’AQUILA – L’incredibile evoluzione avuta negli ultimi vent’anni, il ruolo delle guide di settore e i meriti, ma soprattutto le responsabilità, degli influencer. In un’intervista a tutto tondo a Virtù Quotidiane in occasione della Giornata mondiale della pizza che si celebra il 17 gennaio, Fabio Riccio, che dal 1997 collabora con le guide dell’Espresso e negli ultimi quindici anni ha sviluppato una particolare predilezione per il piatto italiano più famoso al mondo, racconta come questo sia cambiato, quali siano state le “scintille” che hanno segnato le sue trasformazioni e cosa c’è da aspettarsi oggi.
“La pizza è cambiata enormemente, prima c’era molto pressapochismo, poco interesse, la grande ondata di attenzioni nei suoi confronti ha alzato l’asticella della qualità cambiando molto il prodotto”, dice. “Un’evoluzione dovuta all’emulazione di chi ha iniziato a innovare, è partito un movimento che ha portato tanti pizzaioli a studiare molto gli impasti e quello che ci si mette sopra”.
“Le guide di settore hanno contribuito molto”, ammette Riccio, “da 50 Top al Gambero Rosso passando per L’Espresso hanno dato una svolta decisiva, cavalcando una spinta che veniva dal basso”.
Riccio, già firma di Cucina a Sud, e che oggi cura la rubrica della pizza sulla rivista della Federazione italiana cuochi e anima il sito di successo Gastrodelirio, attribuisce a Enzo Coccia, tra i promotori del disciplinare della pizza napoletana, il merito di aver acceso la miccia nel 1994, innescando un movimento di sperimentazioni e innovazioni che si è presto rivelato contagioso. “Fece una scommessa lasciando la pizzeria di famiglia e iniziando a giocare con impasti e ingredienti”, ricorda, “un fenomeno nei primi due o tre anni solitario o comunque circoscritto a un quartiere di Napoli, poi è deflagrato. Come dimostra la scuola veneta, dove i pizzaioli Renato Bosco e Simone Padoan, pur non conoscendosi all’inizio, facevano la stessa cosa: dalla pizza napoletana hanno elaborato un modello vincente. In Abruzzo, ad esempio, è quello che ripropone Gianluigi Di Vincenzo, da napoletano dico che mi piace molto!”.
Un mondo in continua evoluzione che, trent’anni dopo, sa ancora sorprendere: “In questo momento il modello forte è quello della pizza napoletana nelle varianti contemporanee, in pratica il modello veneto che ha preso piede in Toscana, Abruzzo e Sicilia”.
Parliamo di una pizza con cornicione grande ma non esagerato, con impasto diretto con lievito di birra oppure pre fermentato come quello con la biga. Un modello di pizza morbida, scioglievole alla napoletana, appena appena croccante “come sta facendo Diego Vitagliano a Napoli”.
Sull’eterna diatriba tra forno a legna o elettrico, il critico non si iscrive agli estremisti: “Non demonizzo i forni elettrici che fanno grandi cose – ammette – personalmente sono scettico su quelli a gas anche se dipende sempre da temperature e tempi. Certo, quello a legna rimane il faro, c’è anche un fattore sentimentale”.
Riccio, poi, non le manda a dire a critici a tempo perso che “decidono di occuparsi di cibo senza averne le basi”, concorsi che proliferano e influencer improvvisati.
“Quest’anno ho partecipato a una quindicina di concorsi come giudice, forse ce ne sono troppi”, ammette. “C’è un’inflazione di campionati e campioni di pizza. Io ho selezionato i migliori a cui partecipare, ma per il semplice cliente che entra in pizzeria e vede pareti piene di attestati e medaglie è praticamente impossibile distinguere un Pizza Doc di Salerno da un concorso che un improvvisato crea dalla sera alla mattina solo per soldi. Salerno, il campionato di Parma e Pizza Village sono i più importanti concorsi del settore, con giurie molto attente come lo è anche Pizza Chef Emergente di Luigi Cremona, molto piccolo ma di alta qualità, che negli anni ha selezionato giurie allontanando tanti improvvisati”.
Su quanto influisca la comunicazione sul successo di un’insegna, Riccio non ha dubbi: “Abbiamo alcuni – pochi – comunicatori o influencer che sono bravi con la b maiuscola, altri che non capiscono niente, il problema è che hanno un seguito enorme propagandando dei modelli sbagliati. A sentire loro non c’è nessun locale che non sia il migliore del mondo”.
“L’esagerata comunicazione sta facendo male al mondo del cibo”, taglia corto, “sono alla terza archeologa che conosco che si è data al mondo del cibo!”.
“Cosa serve per saper giudicare? Assaggio, un po’ di teoria alla base perché nel caso della pizza, ad esempio, non guasta studiare, ma poi assaggi, assaggi e ancora assaggi”, afferma senza mezzi termini l’esperto. “La pizza, a prescindere dal modello, in bocca deve dare l’impressione, il sentore – che non ti arriva subito ma con l’allenamento – che quello che c’è sopra e l’impasto si sposino e creino qualcosa di piacevole. In questo caso il concetto è buono e viene estrinsecato, altrimenti siamo davanti a una focaccia che si limita ad essere un supporto in cui spesso il condimento uccide anche la base”.
Ma qual è il prezzo giusto di una pizza? “Dipende, se sopra ci ha messo i gamberi puoi anche pagarla 30 euro”, rileva Riccio. “Difficile stabilire un giusto prezzo perché il food cost è variabilissimo, dipende da cosa ti offrono e cosa cerchi. E poi una cosa è l’affitto al centro di Roma e una cosa se stai nella campagna di provincia”. (m.sig.)
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