Cronaca 05 Mag 2017 15:03

L’INDUSTRIA COSMETICA ITALIANA SUPERA QUELLA DEL VINO

L’INDUSTRIA COSMETICA ITALIANA SUPERA QUELLA DEL VINO

L’AQUILA – “L’industria cosmetica batte quella del vino, ma anche quella delle
scarpe”.

Parola di Fabio Rossello presidente di Cosmetica Italia.

“Tra addetti e indotto occupiamo 220 mila persone, 200 mila erano le persone
occupate dalla vecchia Fiat per intenderci, ma soprattutto abbiamo un fatturato superiore a occhiali (3,7 miliardi di euro), superiore al vino (che secondo l’Istat si attesta sui 12,9 miliardi di euro), superiore a scarpe (7,5 miliardi di euro), quindi noi facciamo ed abbiamo una filiera che è di 15 miliardi di euro circa, di cui 10 miliardi e mezzo diretti, che rappresentano cioè il nostro sistema cosmetico” ha dichiarato Rossello al massmediologo Klaus Davi che sta realizzando un documentario sul settore.

Un giro d’affari di tutto rispetto. Ma gli addetti ai lavori pensano di non godere delle dovute attenzioni del Governo.

A cominciare da Luigi Bergamaschi
(amministratore delegato Erbolario): “Abbiamo bisogno di un sostegno
soprattutto sui mercati internazionali. Giustamente la regolamentazione
in Italia è rigida, ma non accade cosi all’estero dove si producono e
importano prodotti non con le garanzie di quelli italiani; e così ci fanno concorrenza”.

Per Roberto Pirola (produttore di candele Cereria Lumen) “facciamo un prodotto competitivo, interamente prodotto in
italia. Basterebbe che la politica riducesse la burocrazia e snellisse le procedure”.

Secondo Marco Bianco (sales manager di Equilibria) “se già le istituzioni non mettessero i bastoni fra le ruote sarebbe un passo avanti. Rispetto alla ricchezza che produciamo, non possiamo
contare su una considerazione adeguata”.

Lapidaria è poi Gloria
Venturino (Brand Manager di Athenas): “Aiuti, internazionalizzazione…non siamo serie b, marginali rispetto alla moda. Di fatto viviamo in una situazione di deregulation. Mentre l’Europa ha regole di accesso molto rigide, fuori dall’Europa c’e’ una condizione di far west”.

Per Benoi Doithier (amministratore delegato Antica Erboristeria) “siamo stati
anticipatori con la nostra catena di cosmetica naturale. Applicando la
certificazione cosiddetta ‘B corp’, abbiamo declinato i valori di un buon prodotto con anche la salvaguardia di principi etici e della responsabilità sociale”.

Luciano Favero (amministraore delegato Sisma SpA) ritiene che “si debba puntare sulla certificazione. La
Germania ci ha insegnato che con standard di qualità superiori si può
competere. Va limitata la circolazione di prodotti inadeguati”.

Aggiunge Luca Spurio (export manager di Farmavita): “L’Ice non è all’altezza;
la Pmi non è rappresentata adeguatamente; per un’azienda come la nostra che esporta al 90% la cosa incide”.

Mentre Massimiliano Maccarone
(Marketing nanager Medavita) aggiunge che “l’Italia ha una buona
reputazione nel settore del made in Italy cosmetico”.

Ossserva Alessandro Rosso (responsabile marketing Lisap laboratori Cosmetici): “Troppe spese a carico di chi esporta, la documentazione per i ministeri,
incartamenti, burocrazia. Già un aiuto in quel senso sarebbe prezioso”.

Ultima ma non ultima, l’imprenditrice Maria Parnazzini (presidente di
Nuova Fapam) secondo la quale all’interno della cosmesi “il colore
italiano è apprezzato in tutto il mondo. Addirittura una donna su 4 nel
mondo applica un colore italiano. Ci si fida soprattutto del fatto che si tratti di un prodotto made in Italy, poi anche della nostra tecnologia che è unica”.


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