UN ANNO DOPO ANCORA SI PARLA DI LOCKDOWN: QUESTO NON SIGNIFICA CONVIVERE COL VIRUS


L’AQUILA – L’11 marzo prossimo sarà esattamente un anno dal decreto “Io resto a casa” che nel 2020 ha disposto il primo lockdown in Italia, con la chiusura forzata, tra le altre cose, di tutti gli esercizi di somministrazione come bar e ristoranti.

Una delle categorie, quest’ultima, che ha pagato di più il prezzo della crisi dovuta alla pandemia del Covid e che, con continue incertezze e aperture a singhiozzo, provvedimenti dell’ultima ora e ristori insufficienti e tardivi, è costretta oggi, a quasi dodici mesi di distanza, a fare i conti con una gestione dell’emergenza fuori controllo in cui si paventano ancora i lockdown come soluzione.

Dall’11 marzo al 18 maggio 2020 la serrata generale, poi le riaperture, ma dal 26 ottobre nuove graduali limitazioni che, nel giro di pochi giorni, impongono nuovamente la forte riduzione delle attività di somministrazione. Scatta la suddivisione delle regioni in fasce colorate in base allo scenario di diffusione dell’epidemia.

In Abruzzo, di fatto, i ristoranti chiudono all’inizio di novembre per riaprire solo il 7 gennaio: un periodo lungo e sfiancante in cui sono consentiti i soli servizi da asporto e domicilio. Dopo l’Epifania il ritorno in zona gialla che consente la consumazione al tavolo anche se solo a pranzo. La speranza dura il tempo di una settimana: domenica 17 gennaio scatta nuovamente la zona arancione (e stavolta con divieto dell’asporto per i bar dopo le 18,00 che erode ulteriormente gli incassi), non senza confusione per gli esercenti alle prese con norme che si accavallano, mal comunicate, e che spesso entrano in vigore poche ore dopo essere state emanate.

L’Abruzzo vede nuovamente la luce il primo febbraio, quando il ritorno in fascia gialla consente la ripresa delle attività al bancone e al tavolo: bar e ristoranti possono somministrare all’interno dei locali, anche se sempre solo fino alle 18,00.

In tantissimi, in tutta la regione, soprattutto quelli fuori dai centri urbani, decidono di non riaprire per niente: troppo impegnativo e rischioso rimettere in moto le attività senza la certezza di un orizzonte temporale che faccia sì che sia conveniente ripartire.

Gli eventi gli daranno ragione: passano 13 giorni e, con la beffa dell’ennesimo provvedimento varato solo poche ore prima di entrare in vigore, con l’aggravante della festa di San Valentino di mezzo, sabato scorso sono nuovamente costretti a fermarsi. Contando 11,5 milioni di euro di danni secondo una stima di Confesercenti per la sola giornata di domenica.

Il sospetto è che si andrà avanti con continui stop and go per mesi, c’è chi dice per tutto il 2021. Intanto lo spauracchio di un nuovo lockdown, mentre già non si sente più parlare di ristori (e gli ultimi annunciati non sono arrivati “grazie” alla crisi di governo), si fa largo tra gli esperti consulenti della politica: “Piuttosto che pensare a sciare e mangiare fuori, anche in Italia dovremmo decidere un lockdown come è stato un anno fa a Codogno”, hanno detto quasi in coro il virologo Andrea Crisanti e il consigliere del ministro della Salute Walter Ricciardi.

Insomma la convivenza con il virus, di cui pure abbiamo sentito lungamente discettare in questo ultimo anno, sembra declinarsi con l’unica soluzione dei lockdown. Quasi una contraddizione nei termini di cui fanno le spese bar e ristoranti più di altri. (m.sig.)

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