“E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE”, VIAGGIO SENSORIALE NELL’INFERNO DI DANTE ALIGHIERI

PESCARA – Un viaggio sensoriale nell’Inferno dantesco. “E quindi uscimmo a riveder le stelle” è l’originale spettacolo ideato da Domenico Galasso, direttore del Piccolo Teatro Orazio Costa di Pescara.
Protagonisti dello spettacolo non sono gli attori ma le loro voci, che trasportano lo spettatore nel mondo ultraterreno creato da Dante Alighieri. Il pubblico assiste alla performance bendato, vivendo un’esperienza davvero singolare. Sono state due, finora, le repliche proposte dal Piccolo Teatro Orazio Costa.
Domenico Galasso, ideatore dell’iniziativa, ne ha parlato a Virtù Quotidiane.
Com’è nata l’idea dello spettacolo sensoriale?
Il succo potrebbe essere riassunto con un principio: l’urgenza che ci preme dell’affinamento della capacità di ascolto, che non è cosa che riguardi solamente un eventuale spettatore. Anzi, direi che la qualità dell’ascolto sia primariamente una questione etica e quindi politica e finalmente di civiltà. Gli altri sensi, il tatto, l’odorato e l’udito, sono inibiti e anestetizzati, quasi, dall’esasperante tempesta a cui è costantemente esposto il senso della vista. Parrebbe uno sforzo senza speranza, il nostro, se non avessimo, nel tempo, riscontrato timidi quanto indubbi cenni che ci incoraggiano a perseverare. Eccoci, dunque, manipolare la materia migliore, il territorio della Comedìa, nostra vera e propria patria generata dall’incontro di un poeta con un altro poeta. Si tratta di un viaggio all’interno della nostra lingua. La Divina Commedia è un luogo privilegiato di osservazione, da frequentare e rifrequentare, per apprezzare la continua variazione dei paesaggi sonori che, nel luogo d’ogne luce muto, s’avvicendano senza posa.
Come si è articolato?
L’articolazione e l’organizzazione sono abbastanza complessi. Tutto lo spazio interno del teatro è trasformato in luogo dell’azione, a partire dal foyer, dunque, luogo in cui lo spettatore accede da solo – dove il termine solo non serve soltanto a significare autonomamente, ma anche a sottolineare la singolarità dell’esperienza. Tutto il percorso che segue, infatti, è la ripetizione di alcuni passaggi che lo spettatore ha modo di rivivere nella stessa condizione del cosiddetto Dante personaggio, con la parola del poeta resa vivente dalla interpretazione degli attori.
Quanti attori sono stati coinvolti?
Nella attuale distribuzione delle parti sono coinvolti diciotto attori provenienti da tre diversi laboratori di recitazione. Un grumo di attori proviene dal laboratorio di Lanciano–Mozzagrogna, altri dal laboratorio di recitazione adulti di Pescara e altri ancora sono del gruppo adolescenti. Tutti sono accomunati, ovviamente, da un meticoloso, rigoroso, appassionante lavoro sui versi.
Quanti spettatori hanno preso parte allo spettacolo?
Ogni volta non possono accedere all’esperienza più di cinquanta spettatori. Per entrambe le repliche siamo stati costretti a rifiutare le molte richieste di prenotazione che continuavano ad arrivare dopo aver registrato il tutto esaurito. Ogni attore avrà recitato a fine esecuzione circa millecinquecento versi, la durata di una media tragedia, per avere un’idea. La calorosa e chiara reazione del pubblico ci spinge a programmare prossimamente un congruo numero di repliche e presto ne daremo notizia.
Qual è il punto di forza di questa esperienza?
Una proposta di spettacolo dal vivo non canonica, come questa, se contasse solo sulla effimera efficacia della stranezza dell’esperienza avrebbe vita breve. La solidità della preparazione e il rigore della esecuzione sono un valore che dà forza a chi esegue e si trasmette a chi partecipa, trascinandolo e coinvolgendolo al di là della banale percezione logica o della sequenzialità diacronica della vicenda. Durante tutto il percorso si è immersi in una condizione non quotidiana che, dopo una prima, naturale fase di spaesamento, permette ai sensi di aprirsi e ricominciare a esplorare ciò che ci circonda. Nella prima esecuzione ero al termine del percorso e ho potuto verificare personalmente l’effetto del viaggio su ognuno degli spettatori.
Come avete selezionato i versi da proporre?
Per questo spettacolo sensoriale ho recuperato alcuni brani dalla composizione drammatica che nel 2000 andò in scena a mia cura al Teatro Sant’Agostino dell’Aquila, uno spazio meraviglioso, completamente distrutto nel terremoto del 2009: la cupola dell’antica Chiesa degli Agostiniani, adiacente al palazzo della Prefettura, crollò rovinosamente sulla platea. L’inizio del mio lavoro sui materiali danteschi risale alla fine degli anni ’90. Ho seguito tre master di specializzazione sulla recitazione dei versi danteschi a cura del maestro Giuseppe Bevilacqua all’Accademia nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Da quella esperienza e sempre in collaborazione con la stessa Accademia ho curato la regia di diversi spettacoli, su materiali tratti dalla Divina Commedia, che dal 2000 al 2004 hanno registrato migliaia di spettatori. Gli spettacoli erano preceduti da incontri preparatori e seminari sulla recitazione dei versi danteschi che ho tenuto in scuole di ogni ordine e grado. Dal 2004 al 2007, avendo la libera docenza di regia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, ho proposto il materiale dantesco come spunto di riflessione, di studio e di lavoro agli studenti del Triennio di Scenografia e agli studenti del Biennio di Arti Visive. Si tratta di materiale prezioso anche per chi voglia imparare l’arte della recitazione e sempre lo propongo nei laboratori di lettura interpretativa e in quelli di recitazione.
Quando nasce il Piccolo Teatro Orazio Costa?
L’ho fondato nel giorno del centesimo anniversario della nascita del mio maestro, il 6 agosto del 2011. E già questo potrebbe bastare a chiarire quello che Andrea Camilleri – mio maestro di Regia in Accademia, e a sua volta allievo di Orazio Costa – chiamava in me senso di devozione nei confronti del nostro comune maestro, il più illustre regista-pedagogo del ‘900 in Italia. Sotto la sua direzione, nei corsi di recitazione dell’Accademia nazionale d’Arte Drammatica si sono formate intere classi di attori, e il metodo mimesico è tuttora insegnato presso il Centro sperimentale di Cinematografia come allenamento dell’attore.
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