La scoperta del Pollino parte da un’opera di land art per far conoscere il Parco attraverso il cibo
MORANO CALABRO – Il Parco Nazionale del Pollino è oggi un laboratorio di turismo sostenibile: offre emozioni geologiche, sport naturali, cultura autentica e biodiversità. La crescita recente – seppur circoscritta alla rete ufficiale – segna un punto di partenza verso un modello turistico equilibrato. Resta aperta la sfida di trasformare questa crescita in un percorso duraturo, inclusivo e rispettoso del territorio.
A mettercela tutta attraverso proposte di promozione territoriale ed enogastronomica è il centro visita Catasta.
L’imponente struttura ricoperta di tronchi cilindrici di legno si staglia come un’opera d’arte a cielo aperto. È qui, a Campotenese, che i visitatori vengono accolti con competenza da Manuela Laiacona, che con un gruppo di amici, da anni promuove e racconta il Pollino.
Insieme a lei ci sono Giovanni Gagliardi, Donato Sabatella e Sergio Senatore: un team di professionisti provenienti dal mondo della comunicazione e delle energie rinnovabili che, da anni, si fanno ambasciatori del Pollino in Italia e all’estero.
Catasta è più di un centro visita: è un hub turistico e culturale, un luogo che unisce spazio didattico-espositivo e una libreria interamente dedicata al Pollino. L’architettura stessa è un simbolo: un edificio rivestito da centinaia di tronchi, metafora dell’abbraccio tra natura e innovazione.
“Ci sono mille motivi per visitare il Pollino. Qui non esiste il turismo di massa, ma il turismo per chi ama la natura, la vita lenta e le cose buone”, racconta Manuela.
“Qui si fa cultura e si trasmettono le eccellenze gastronomiche del territorio – prosegue –. Siamo circondati da numerose piccole aziende agricole che raggruppiamo nella nostra bottega. Qui si cucinano i piatti tipici: il nostro scopo come impresa sociale è quello di valorizzare il territorio e crescere insieme”.
Nella bottega, un intreccio di profumo e sapori: il fagiolo poverello bianco, piccolo e digeribile, i formaggi dell’antica tradizione pastorale, i salumi, i succhi di frutta naturali, i tartufi (il parco è inserito nella lista Unesco anche per la raccolta dei tartufi) e i vini, con protagonista il Magliocco, vitigno a bacca nera autoctono.
“Cerchiamo di fare cultura e di raggiungere nuovi e futuri visitatori, desiderosi di natura e avventura. Il parco offre tantissimo: sport all’aria aperta, pedalate, trekking; organizziamo eventi per sensibilizzare i giovani alla scoperta di questo sito meraviglioso, a volte un po’ difficile da raggiungere, eppure vale veramente il viaggio”, spiega Manuela.
Negli ultimi anni, Catasta ha puntato anche su un’idea originale: unire natura, biodiversità e mixology. “Abbiamo organizzato eventi come il Cocktail Camp, perché qui si registra il più alto tasso di biodiversità aromatica ed officinale del continente europeo. Un territorio magico per chi ama la mixology”.
L’occasione per vivere tutto questo? “A novembre, con un evento dedicato ai tartufi – conclude Manuela –. Allora non resta che cogliere l’occasione, scoprire questo territorio e lasciarsi coinvolgere da un evento tra convivialità e scoperta naturalistica”.
A pochi chilometri da Catasta, nel cuore del parco, si trova la celebre Grotta del Romito, uno dei siti preistorici più affascinanti dell’Italia meridionale. Qui è impressa nella roccia, da almeno 12.000 anni, l’incisione di un aurochs (un grande bovide), scolpita con proporzioni perfette su un masso inclinato a 45 gradi.
La figura, lunga circa 1,2 metri, è una delle massime espressioni artistiche del Paleolitico mediterraneo. “È emozionante pensare che a pochi passi da noi, qualcun altro – 12.000 anni fa – ha impresso nel tempo un’immagine che ancora oggi ci parla di forza, di arte e di legame con il territorio. Questo patrimonio ci ispira: vogliamo raccontare un luogo vivo, dove storia, natura e cultura si intrecciano”, commenta Manuela.
“Non sono poche le difficoltà nel promuovere questo posto e nel far sì che i turisti giungano fin qui, in un luogo che potrebbe sembrare sperduto nel mondo. Ma è proprio questa la sua peculiarità, il suo punto di forza. Il Pollino non ha bisogno di riflettori accesi, perché possiede già una luce propria: va solo scoperta, vissuta e raccontata”.
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