Benvenuti in Sila, vino bianco d’alta quota dai profumi silvestri e favole eroiche
SPEZZANO DELLA SILA – Fine e slanciato (al gusto) come il pino laricio silano, l’albero simbolo della Calabria riportato in etichetta. Riflessi verdognoli, profumi silvestri, straordinaria freschezza, la semplicità della montagna con la sua asprezza e profumi inconfondibili di erbe officinali, mela cocciola, il colore giallo paglierino dai riflessi che richiamano il colore dei campi e dei pini.
Tutto nel calice.
Ecco il Bianco della Sila, uvaggio di Chardonnay e Pinot allevati sui 1.300 metri dello sconfinato altopiano calabrese – il primato di vigneto tra i più alti d’Europa condiviso con una o forse due sole altre vigne in tutta la Sila – affacciato sul lago Cecita in località Vaccarizzo, un posto fiabesco appartenente alla 10° Riserva della biosfera italiana nella rete mondiale dei siti di eccellenza Unesco.
Sei ettari di vigneto d’alta quota specializzato a bacca bianca stile Trentino. Produzione di poche migliaia di bottiglie ma di alta qualità destinata a crescere.
Per l’azienda agricola Granata di Spezzano della Sila (Cosenza) la novità, in progress, è di affiancare lo spumante metodo ancestrale di quelle stesse uve bianche di montagna al Bianco Igp Calabria e al rosso di Magliocco lavorato “alla vecchia maniera” in assemblaggio con altri vitigni identitari provenienti dal vigneto storico di proprietà posto a 800 metri slm nella pre-Sila cosentina.
Il sogno a lungo inseguito di “dare luce” all’agricoltura calabrese credendo nell’innovazione, rincorrendo “quell’economia che non c’è”, rinnovando una storia (agricola) di famiglia lunga due secoli gettando il cuore oltre l’ostacolo. Tutto quanto nello stesso calice al debutto in grande stile al Vinitaly and the city-Calabria in wine andato in scena per tre sorprendenti giornate al Parco archeologico di Sibari.
“Anche se la vigna l’abbiamo sempre avuta a Spezzano, quello del vino è un discorso nuovo per la nostra azienda, siamo ancora giovani, abbiamo impiantato il vigneto in alta quota intorno al 2010 ed iniziato a vinificare nel 2017 . Nel frattempo abbiamo imparato a fare un rosso veramente artigianale con lieviti indigeni seguendo con attenzione i processi di fermentazione. Abbiamo creduto nella viticoltura di montagna e da qualche anno ci stiamo investendo da pionieri, sperimentando. Con i cambiamenti climatici che hanno prodotto temperature elevate anche in montagna abbiamo pensato di innovare per valorizzare un territorio agricolo con caratteristiche uniche incrementando le produzioni di pregio”, racconta a Virtù Quotidiane Paola Granata, quarta generazione dell’azienda – di cento ettari nel cuore del Parco nazionale della Sila – che ha ereditato indivisa con il fratello Francesco e la nipote Maria Francesca Troisi neo laureata in agraria, sulle cui idee si punta per fronteggiare le nuove e diverse sfide che arriveranno.
“L’alta quota dona straordinaria freschezza, acidità, struttura e profumi unici a questi vini grazie alla notevole escursione termica tra notte e giorno. Viste le temperature in salita, avrei potuto azzardare e impiantare i bianchi del luogo oltre agli internazionali” fa notare l’imprenditrice cosentina da sempre in prima linea nelle fila di Confagricoltura Cosenza per portare avanti le istanze delle imprese in qualità di presidente provinciale dell’organizzazione di categoria, la prima in Calabria per importanza.
“Quello della terra è un lavoro bellissimo, ti consente di imparare sempre cose nuove e di conoscere nuove realtà” incalza Paola che prima di raccogliere il testimone nella proprietà di famiglia e immergersi a capofitto nel mondo agricolo, ha studiato medicina (altra tradizione di famiglia).
“Si pensa all’agricoltura fatta con la zappa e l’aratro in realtà l’agricoltura è innovazione e tecnologia. È il caso delle barbatelle che in via sperimentale modificate geneticamente secondo tecniche di evoluzione assistita (Tea) consentono alla pianta di difendersi naturalmente da patogeni come la peronospora. Un modo per avere piante più resistenti da trattare meno durante la crescita con minore utilizzo di fitofarmaci a vantaggio di tutto l’ambiente. Se non si percorre la strada della tecnologia non si va lontano”.
Innovazione e diversificazione sono concetti chiave nella visione di Paola Granata.
“L’idea di produrre in alternanza con le patate grani antichi (recuperando vecchie varietà di frumento a bassa resa come il grano maiorca e la segale di montagna, nostro fiore all’occhiello) che trasformiamo in farine e pasta è stata una scelta studiata per chiudere la filiera e valorizzare un altopiano di straordinaria bellezza”.
“Siamo aziende eroiche, i nostri raccolti sono limitati a uno-due nel corso dell’anno e la stagione invernale è lunga ma le nostre produzioni rappresentano la via di salvezza per l’aggravarsi della crisi climatica e la prolungata mancanza di piogge, prova è l’anticipo della vendemmia anche nella nostra azienda”, conclude l’imprenditrice.
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