Cantine e vini 21 Ott 2023 18:51

D’Araprì, dal 1979 gli spumanti pugliesi si affinano nei sotterranei di San Severo

D’Araprì, dal 1979 gli spumanti pugliesi si affinano nei sotterranei di San Severo

SAN SEVERO – C’è chi sceglie di affinare i vini in musica, e c’è chi attraverso la musica si è unito e ha dato vita a quello che in principio era un sogno, ma che oggi è la storia di un prodotto simbolo di un territorio, cominciata con tre amici. Dietro D’Araprì Metodo Classico ci sono Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore e il marchio è l’acronimo delle prime lettere dei tre cognomi.

Uniti dalla passione per la musica jazz e da una forte amicizia, nel 1979, poco più che 20enni, hanno scelto di scommettere sul mondo delle bollicine che all’epoca era appannaggio quasi esclusivo della Francia o al massimo del nord Italia.

Nel cuore di San Severo (Foggia), dove le famiglie storicamente producevano vino, Louis insegnante di musica, Girolamo che lavorava in un laboratorio analisi e Ulrico, cantiniere nell’azienda vinicola D’Alfonso Del Sordo decidono di valorizzare il loro territorio e di farlo seguendo una strada inaspettata. Quella degli spumanti.

“Hanno avuto un’idea da pazzi”, racconta a Virtù Quotidiane Daniele Rapini, figlio di Louis, seconda generazione di quest’azienda, entrato nella società insieme ai figli di Girolamo, Anna D’Amico e di Ulrico, Antonio Priore. “Se parlavi di metodo classico, all’epoca, parlavi di Ferrari, Cà del Bosco, Bellavista. Non esisteva nemmeno la Franciacorta così come la conosciamo oggi. Le bollicine erano qualcosa che si beveva in un momento di festa, ed era un prodotto di nicchia, solo per privilegiati. San Severo aveva una tradizione nel vino. Era la prima doc della Puglia ed è stata tra le prime 10 a livello nazionale. Ma ovviamente si parlava di altri vini e il territorio non godeva di una buona reputazione”.

Eppure Louis, Girolamo e Ulrico ci hanno creduto e hanno deciso di cominciare a spumantizzare i loro vini. I primi esperimenti sono con il trebbiano abruzzese, ma ben presto capiscono che il vitigno autoctono pugliese bombino bianco dà loro migliori risultati.

“L’acidità del trebbiano non funzionava per il metodo classico, mentre il bombino bianco era vocato alla spumantizzazione”, analizza Daniele. La prima etichetta, nel 1983, è in purezza. Da allora l’esperienza maturata sul campo, ma anche attraverso continui viaggi nella zona dello Champagne, portano D’Araprì ad ampliarsi sempre di più e a diventare punto di riferimento per la spumantistica italiana.

“Negli anni ’90 decidono che quello che era stato un gioco fino ad allora doveva diventare una professione. La piccola cantina che si trovava nel centro storico di San Severo dove tutto è cominciato, diventa più grande. La scelta è stata di continuare ad investire nel centro storico andando a recuperare i sotterranei dove storicamente le famiglie facevano il vino e che ormai erano diventati luoghi chiusi”, racconta Daniele. In questo dedalo di cunicoli ancora oggi riposano le bottiglie di D’Araprì. Le pupitres vengono usate solo per i formati speciali e hanno fatto posto ai giro pallet per consentire l’affinamento di una produzione sempre più grande, adesso arrivata a 180 mila bottiglie.

Come recitano i dieci punti della carta etica sottoscritta dai tre produttori, le uve provengono solo dai 16 ettari vitati di proprietà, tutti nell’agro di San Severo, allevati a pergola, più uno a spalliera in città. I vitigni usati, oltre al bombino, sono montepulciano e pinot nero lavorati in purezza o in blend. E dal 2018 il nero di Troia, per il Sansevieria, l’ultimo arrivato, “un rosé”, dice Rapini, “perché in Puglia il rosato è religione”.

In totale le referenze sono sette e raccontano il territorio e la sua storia. “Abbiamo sempre legato molto la storia di D’Araprì a quella del territorio”, continua Daniele, che ha studiato architettura all’università di Pescara. “Ad esempio abbiamo pensato a un vino che è La Dama Forestiera, un blanc de noir a base di montepulciamo e pinot nero, che è stata una donna che alla fine dell’800 diede un grande impulso alla viticoltura del territorio, insieme a suo marito, l’ultimo principe di San Severo. Per il futuro riserveremo una sorpresa per i nostri 50 anni su cui stiamo lavorando già da un po’”.

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