Cantine e vini 15 Ago 2025 07:31

Forca di Penne, a mille metri i nuovi vigneti di Pasetti per rispondere al cambiamento climatico

Forca di Penne, a mille metri i nuovi vigneti di Pasetti per rispondere al cambiamento climatico
I nuovi vigneti di Pasetti a Forca di Penne

L’AQUILA – La produzione di vitigni internazionali con un ciclo breve di vegetazione, le cui uve giungono presto a maturazione, come lo Chardonnay e il Pinot nero, da nuovi impianti sul valico di Forca di Penne, sull’Appennino centrale tra le province di L’Aquila e Pescara, a quasi 1.000 metri di altitudine. E non ci si fermerà a quelle varietà note e sperimentate già da tempo in Trentino Alto Adige ma sarà poi la volta anche delle autoctone come Pecorino, Montepulciano e Trebbiano, vista la buona risposta vegetativa dei primi impianti.

L’azienda abruzzese Pasetti, pluripremiata e specializzata nella viticoltura da generazioni, esperta nel saper dosare conoscenze tecniche enologiche, amore per il territorio e per la qualità superiore dei suoi frutti, e scelte lungimiranti, pioniera più di vent’anni fa nello spostamento dei vigneti dalla costa all’entroterra, sale sempre di più di quota scrivendo una pagina importante dell’enologia abruzzese.

E non a caso si parla di lungimiranza se questa viene praticata da ben oltre venti anni, quando Domenico Pasetti – che oggi la guida insieme a sua moglie Laura i loro tre figli Francesca Rachele, Massimo, e Davide – decide di trasferire le superfici vitate dalla costa pescarese e di Francavilla al Mare (Chieti) alla zona pedemontana di Pescosansonesco), e spingendosi ancora più in alto per affrontare e dare risposta all’attuale cambiamento climatico preferendo il valico di Forca di Penne, interessato anche dal passaggio del Tratturo magno.

Domenico Pasetti

“Chi vive la terra, chi è nato in campagna, ha iniziato a percepire il cambiamento climatico già da qualche decennio rispetto alla collettività”, racconta Mimmo Pasetti. “Noi abbiamo deciso da tempo di delocalizzare la nostra produzione dalla zona marina di Francavilla e Pescara a quella pedemontana di Pescosansonesco, quando 25 anni fa sembrava una follia e invece si è rivelata la scelta giusta. Oggi ci siamo resi conto che l’altitudine dei 500 metri comincia a non bastare più e bisogna delocalizzarsi ulteriormente. Infatti, se il problema sta nelle zone vallive, dove l’aumento della temperatura danneggia maggiormente il sistema vegetativo creando uno squilibrio, la soluzione è il trasferimento degli impianti vitati dalle zone più critiche a quelle più fresche”.

Come è noto, l’altitudine permette di abbassare in breve tempo i gradi della temperatura, dunque tra un vigneto posto a mille metri e un altro situato sul livello del mare si riscontra una importante differenza di dieci gradi circa, che incide significativamente sulla qualità del prodotto ultimato.

“Sapendo che il range ottimale per lo sviluppo della pianta sta tra i 25 e 30 gradi, se si posizionano le viti nelle zone di montagna allora si troverà la condizione ottimale per la vegetazione della pianta senza sottoporla a stress termici che andrebbero a squilibrare il suo equilibrio vegetativo. Al contrario, una vite con un equilibrio troppo sviluppato darà dei frutti con delle sostanze aromatiche non adeguate e comporterà una perdita di acidità delle uve, quale elemento fondante che, invece, nella viticoltura di montagna viene garantito”, prosegue il produttore.

Una possibilità per le zone a valle sarebbe anticipare la vendemmia per ricavare delle uve ancora abbastanza acidule ma si rivelerebbe soltanto un rimedio momentaneo, una soluzione apparente, poiché le altre componenti non avrebbero la giusta maturazione e il vino che ne deriverebbe sarebbe poco strutturato in termini di equilibrio gustativo, e non avrebbe i giusti valori di polifenoli ed estratti.

Ma cosa comporta delocalizzare la viticoltura in altura? Di certo un dispendio di risorse e di energie molto oneroso, equivalente al costo di circa decine di migliaia di euro per ettaro, e non solo, poiché coincide anche con l’interruzione della produzione e l’attesa di quasi tre anni dalla messa a dimora della vite.

“Ciascuna azienda produttrice deve considerare il proprio conto economico e ricalibrare la propria attività. Possiamo anche insistere nel rimanere nelle zone vallive ma tra qualche anno ci ritroveremo ad avere delle produzioni fuori mercato, se il trend dell’andamento climatico continuerà ad essere tale. Dal mio punto di vista, la restrizione dei consumi in atto – dovuta dalla crisi mondiale generale e anche dall’attacco mediatico sui pericoli dell’alcol – genera una demoralizzazione del consumatore finale che tende così a fare più economia del solito. Dunque, si assisterà ad una lotta tra aziende che cercheranno strategie diverse per non essere escluse dal mercato di riferimento; io non conosco la scelta strategica migliore in assoluto ma ritengo che la mia decisione consentirà di riposizionare la mia azienda ed essere ancora più competitiva al momento opportuno”.

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