LA MORGIA DI GESSOPALENA TRA STORIA E LEGGENDA, DA RISORSA A OPERA D’ARTE

GESSOPALENA – La Morgia è un enorme masso attorno al quale si sono accumulate storie e leggende, dal quale è stata cavata pietra per la costruzione dei borghi limitrofi o per la loro ricostruzione nel secondo dopoguerra, è il luogo ideale per la nidificazione di alcuni rapaci come il nibbio reale, è sede di un’installazione dell’artista Costas Varotsos, è un punto di riferimento spaziale tra la Valle Aventina e quella del Fiume Sangro, nella Majella orientale, un luogo magico che merita di essere conosciuto e visitato, un luogo che dovrebbe essere annoverato tra le bellezze che sanno dar lustro all’intera regione.
Lo sperone calcareo si trova nella contrada omonima, sulla via che collega Gessopalena a Torricella Peligna (Chieti). Emerge da una collina come fosse una lama la cui forma, tuttavia, ricorda da sempre agli abitanti della zona la linea di un leone accucciato, da qui il nome: lu leon.
Completamente decontestualizzata rispetto al resto del territorio, la Morgia pare possa essere una roccia che milioni di anni fa, per un qualche potente movimento tellurico, si è staccata dalla Maiella ed è rotolata verso valle; una sorta di souvenir preistorico.
La sua peculiarità ha alimentato alcune leggende. Si racconta infatti, in una narrazione orale raccolta sia dall’antropologo Gennaro Finamore che da Giovanni Pansa, che l’origine della Morgia sia da attribuirsi all’eroe biblico Sansone, il quale da solo portò, chissà perché, il masso da Palena a Gessopalena. Una volta deposto, pare che l’eroe abbia lasciato anche l’impronta del suo piede alla base della parete di pietra.
Un’altra narrazione vuole che nei pressi della Morgia sorgesse un paesino chiamato Pesco Rottico, dove si praticava l’estrazione della pietra per ricavarne materiale da costruzione, abbandonato nel XIV secolo a causa di una pestilenza.
Nei pressi del borgo – qui la seconda leggenda – pare vi fosse una ricca abbazia, ma che i rapporti tra cittadini e monaci non fossero buoni, tanto che quest’ultimi furono costretti ad abbandonarla.
Ebbene si pensa che la Morgia sia ancor oggi infestata dai fantasmi e che questi altri non siano che gli spiriti dei monaci che da secoli cercano la loro antica dimora.
Di certo c’è che la roccia della Morgia è stata usata in diverse epoche per estrarre pietre da costruzione, come dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando della gran parte dei paesini limitrofi, a causa delle violenze tedesche e dei bombardamenti degli Alleati, furono distrutti.
Il massiccio dunque, oltre ad alimentare fantasie e storia, è stato anche una reale risorsa sacrificandosi, potremmo dire, e diventando esso stesso la base materiale su cui ricostruire il futuro delle comunità locali.
Tra il 1996 e il 1997 la Morgia ha subito l’ultima, radicale trasformazione ergendosi a opera d’arte grazie all’installazione dello scultore greco Costas Varotsos, formatosi tra Roma e Pescara e oggi famoso sia in Italia che nel mondo. La materia delle sculture di Varotsos è il vetro e di vetro è la superficie di 40 metri di lunghezza che s’innesta nello squarcio lasciato sulla roccia da un’esplosione durante il conflitto bellico.
Un atto umano salvifico che va a intervenire su un altro atto altrettanto umano, ma violento. Un’opera che non vuole sanare completamente né riportare all’origine, tutt’altro, enfatizza il rapporto tra ambiente naturate e gesta umane ponendo l’accento sulla responsabilità e sul potere che queste hanno nel ridefinire il paesaggio, tanto in protezione quanto in distruzione.
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