LORENZO PUCA, ARTISTA DELLO ZUCCHERO CHE HA SBALORDITO A LIONE. “LA COPPA DEL MONDO? DOVEVO VINCERLA PER FORZA”

PESCARA – Adesso che “non ci pensa più” a diventare campione mondiale della pasticceria perchè il suo sogno si è avverato il 25 settembre scorso a Lione, in Francia, Lorenzo Puca, 32 anni, pasticcere, pescarese d’origine e vastese d’adozione, si trova ancora nel Bresciano a risistemare i ferri del mestiere dopo l’ultimo anno speso in infiniti allenamenti.
E non sa neanche bene quando, dice, rientrerà in Abruzzo. Dove tutti lo attendono per celebrare la vittoria schiacciante della squadra italiana capitanata da Alessandro Dalmasso, con il nostro Lorenzo specialista dello zucchero, Massimo Pica e Andrea Restuccia fuoriclasse nella lavorazione rispettivamente del cioccolato e del sottozero, un team teso a sbalordire la giuria con capolavori di dolcezza ispirati alla natura.
Non appena avrà tregua dalla giostra di interviste e serate celebrative, Lorenzo vorrà guadagnare la strada di casa, staccare la spina per un po’, resettare il suo orologio personale. E perché no scrivere il suo libro per raccontare della sofferta e poi folgorante esperienza che lo ha visto incoronato a Lione.
Dire casa per Lorenzo è dire Vasto (Chieti), la bellissima città sul golfo lunato. Già vent’anni che manca da Pescara, da cinque è di base a Vasto nel laboratorio di pasticceria Pannamore di Nino Radoccia (insieme nella foto sotto), insegna (Due Torte Gambero Rosso) che quest’anno festeggia venticinque anni di attività e che prima di lui è stata palestra di un altro fuoriclasse, Emmanuele Forcone, originario di San Valentino in Abruzzo Citeriore (Pescara), campione del mondo 2015, oggi accademico, consulente e formatore internazionale.
“Pescara” racconta Puca a Virtù Quotidiane prima di correre a Milano ospite di Quelli che il lunedì su Rai2, “non era il posto giusto per fare quello che sognavo, sono andato via verso i 18 anni”. La nostra intervista.
Lorenzo, che effetto fa essere campione del mondo di pasticceria?
Leggerezza e libertà. Mi sono finalmente liberato da un’ossessione che mi inseguiva da tempo, dovevo vincere per forza, era diventata una malattia, un tarlo mentale. Adesso non ci penso più. Una rivincita grande per me appassionato alle gare, sognavo la Coppa del mondo da quattro anni. Nel 2018 alla prima selezione sono risultato terzo, vedermi al fianco i vincitori (Malesia, ndr) mi è servito a determinarmi e da quel preciso istante mi sono detto ci riprovo, dovevo farcela.
Sei soprannominato L’uomo dello zucchero, come nasce la tua passione per lo zucchero artistico?
Sono molti i fattori che mi affascinano, in primo luogo la libertà di realizzazione. Si tratta di una pratica totalmente manuale che assomiglia alla lavorazione del vetro soffiato. Anche lo zucchero bianco sottoposto a certe cotture e tipologie di lavorazione si trasforma, dal nulla crei qualcosa di magnifico, magico. E’ una tecnica di manipolazione che ho imparato da solo guardando gare, maestri, fotografie, in fondo è tutta manualità non ci sono troppi studi da fare. Occorre molto tempo per realizzare un pezzo e la sua durata è brevissima perché l’effetto vetro è subito aggredito dall’umidità presente nell’ambiente, il lavoro perde lucentezza, luminosità e comincia ad opacizzare. E’ un’arte che si presta a cerimonie, presentazioni artistiche, occasioni particolari.
Qual è la tua visione della pasticceria quotidiana?
Sono una persona molto semplice, amo la semplicità e la trasparenza. Nel lavoro di tutti i giorni è pressoché inutile fare qualcosa di complesso, tanto più che normalmente non viene neanche percepito.
Un esempio per spiegare meglio?
Prendiamo il Tiramisù, il dolce più banale e più amato, mescolando tre semplici ingredienti quali mascarpone caffè e savoiardi puoi realizzare qualcosa di straordinario fortemente appagante che piace praticamente a tutti, mentre qualcosa di più complesso o ricercato potrebbe risultare un flop se non viene percepito. Nelle gare accade il contrario, si lavora all’esasperazione per stupire all’eccesso.
In che modo l’innovazione entra nella pasticceria moderna?
Sicuramente con la tecnologia, oggi non si lavora come cinquant’anni fa, la crema magari è fatta con i soliti ingredienti, quel che cambia è la tecnica applicata. Con un macchinario moderno si aumenta conservabilità, cremosità, struttura pur mantenendo un’idea semplice di prodotto.
Come vedi la tendenza in atto che punta alla riduzione/azzeramento degli zuccheri per una pasticceria più salutare/contemporanea?
Personalmente non ritengo vantaggioso ridurre gli zuccheri perché oltre una certa soglia diventa controproducente per il pasticcere, lo zucchero è il primo conservante naturale che adoperiamo. Basterebbe mangiare meno dolci, ma di ottima fattura. Non serve ingozzarsi di dolce tutti i giorni chiedendo ai pasticceri di abbassare il tenore di zucchero. Un dolce è tale perché contiene zucchero, è la dolcezza che ci appaga. Meglio sarebbe mangiare dolci in maniera intelligente, meno ma più buoni. Quanto al dessert da ristorazione penso che col dolce in senso stretto abbia poco a che vedere, è realizzato e consumato in quel preciso momento.
Già pensato di aprire un locale tutto tuo?
È il sogno di una vita, ma credo che ad oggi non sia il momento migliore. Troppi costi, troppe tasse e troppo lavoro che non viene né pagato né riconosciuto dallo Stato.
Dal 2016 sei di base da Pannamore a Vasto. Quali progetti al rientro?
Non ne ho ancora idea, manco da più di un anno e c’è di mezzo una vittoria… Al patron Nino Radoccia sono davvero riconoscente, prendo atto di come un imprenditore possa credere così tanto nei giovani. Ci vuole un bel coraggio a lasciare subito carta bianca a un ragazzo che conosci poco. Sono arrivato da lui a 27 anni, provenivo da varie esperienze in diverse regioni ed ero indeciso sul dove fare base, in Italia o all’estero. Mi sono fermato a Vasto perché Nino mi dava la possibilità di allenarmi per la Coppa del mondo. Emmanuele Forcone, suo executive in passato, ci ha messo in contatto, è stato uno degli allenatori del team Italia ed essendo specialista nella lavorazione artistica dello zucchero, mio coach diretto.
Combinazione perfetta.
Un sodalizio che dura, ma tengo a precisare di essere un normalissimo dipendente collaboratore di Nino, mio datore di lavoro. Sono un semplice pasticcere attualmente in aspettativa da gennaio scorso, tempo necessario per potermi allenare a dovere per la Coppa.
La tua Desiderio in cinque strati ispirata ad Aladdin e alla sua lampada è ormai un classico d’autore in vetrina da Pannamore insieme a creazioni firmate in precedenza da Forcone.
Desiderio è l’unica torta da gara che abbiamo messo in produzione dopo la mia partecipazione al campionato nazionale 2018. Normalmente, è pressoché impossibile mettere in vendita le torte da gara perché sono preparazioni complesse che richiedono lunghi tempi di preparazione e non si accordano con la quotidianità di una pasticceria.
Insomma, Pescara non era il posto giusto per fare quello che sognavi…
Sicuramente la pasticceria è molto più valorizzata al nord rispetto che da noi, e per questo ho scelto di formarmi fuori casa. Il mio sogno di sempre è portare una visione nuova da queste parti ma ad oggi non vedo i presupposti per poterlo fare, in futuro chissà.
Cosa non va, fondamentalmente?
La mentalità. Un concetto sfaccettato, un fatto di cultura generale del settore che dia valore pieno alla pasticceria. Un’arte complessa, dove contano tecniche di lavorazione, presentazione, tipologia di prodotto e degli ingredienti, arredamento del negozio. Una mentalità che non può cambiare dall’oggi al domani. Anche in questo il nord Italia è molto più avanti grazie agli influssi della scuola francese e quella svizzera. Faccio un parallelo calcistico per spiegarmi meglio: Ronaldo e Messi sono i campioni più forti degli ultimi vent’anni perché hanno una mentalità superiore, diversa. Di calciatori di serie A ce ne sono tanti ma il Pallone d’oro lo vincono sempre gli stessi perché sono sempre pronti a fare meglio, lavorare sui dettagli, una questione di mentalità. Noi oggi siamo campioni della pasticceria mondiale perché abbiamo giocato con una mentalità da campioni del mondo, ponendoci quell’obiettivo. Due anni fa credevo di avere la mentalità da campione del mondo e mi sono classificato terzo. Quindi ci ho riprovato cambiando ragionamento, aprendo la mente senza limiti, qualunque cosa per arrivare al primo posto. E così è andata.
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foto Cucina Italiana
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