“MANGIO TUTTO TRANNE”, AL VIA IL FORMAT TV DELL’ABRUZZESE GIOVANNI ANGELUCCI SU GAMBERO ROSSO CHANNEL

PESCARA – Con Giovanni Angelucci alla scoperta di paesi e culture alimentari del pianeta “mangiandoli” letteralmente, con l’avidità del viaggiatore gastronomo di professione, gaudente per natura. In onda da domani sera alle 21 su Gambero Rosso Channel Mangio Tutto Tranne, il nuovo format televisivo ideato e realizzato dal 35enne gastronomo reporter free lance, originario di Chieti, da qualche anno di base a Milano, narratore di cucine, cuochi e sapori per diverse testate di settore.
A partire da domani ogni martedì sera sul canale 133 e 415 piattaforma Sky in puntate di mezz’ora, Giovanni darà voce e cuore al meraviglioso racconto di paesi lontani e loro abitudini alimentari spesso inconcepibili nella nostra cultura.
Gusto e olfatto ben allenati, spirito di avventura e voglia di condividere, Giovanni racconta a Vq del suo progetto televisivo coltivato da tempo, realizzato unicamente mettendo a frutto il personale patrimonio di contatti accumulati nei suoi primi dieci anni di carriera. Programma poi necessariamente revisionato dalla pandemia, e ora finalmente in onda su piattaforma televisiva nazionale.
Il primo set di puntate proposte da Gambero Rosso Channel è dedicato alla Moldova, si proseguirà con la Polinesia francese. E poi in Danimarca, terra da dove il format è partito con una puntata pilota realizzata dalla squadra di professionisti amici (abruzzesi) di Giovanni, Alice Lizza giornalista, Davide Starinieri e Lorenzo D’Orazio video maker e registi. In attesa di scoprire nuove terre dove il gastroreporter abruzzese condurrà per mano gli spettatori.
Giovanni, come hai maturato il desiderio di raccontare il mondo attraverso il cibo?
L’università di scienze gastronomiche mi ha insegnato l’approccio del viaggiatore curioso e affamato. I viaggi didattici in Napa Valley, Cuba, Giappone mi hanno aperto le porte della percezione gastronomica, messo in condizione di dare valore al cibo e al viaggio nella cultura di un luogo, ho capito che quella era la mia ragion d’essere: il viaggio enogastronomico non come spettacolarizzazione ma come modo più autentico, romantico, di pancia per entrare nella cultura di un luogo, e poi digerirla”
La scelta della Moldova?
Siamo consapevoli che quel territorio (racchiuso tra Romania e Ucraina, ndr) non goda dell’appeal dell’Amazzonia peruviana o dei maestri giapponesi del sushi. Si è voluto presentare un paese sconosciuto ai più, pochi sanno dove si trovi La Moldova, un vero melting pot di culture, moldava, romena, turca, ucraina, russa. Condizioni ideali dal nostro punto di vista . Inoltre si tratta di un paese di antica ed estesa tradizione vitivinicola con cantine che producono vini di valore e che puntano molto sull’enoturismo. Nel corso delle puntate dedicate andiamo per mercati e scopriamo le sue genti, sono stato una giornata intera con la comunità zingara della Moldova, ma non anticiperei altro. Se non che in Transnistria, porzione di Moldova che fa Stato a sé , sono grandi produttori di ortaggi e verdure. Ho apprezzato la sarmale, piccoli involtini di foglia di vite o crauti ripieni di riso, carote, ragù di carne serviti in vario modo. I più piccoli di dimensione, come bottoncini, sono appannaggio delle cuoche più brave.
Nei tuoi viaggi quale il cibo più strano incontrato?
Un momento forte, altissimo, il più ancestrale senza dubbio è stato quello consumato insieme agli aborigeni australiani. Mi hanno invitato a mangiare insieme a loro vermi vivi, cosa che ho fatto senza battere ciglio. L’aborigena mi ha mostrato come fare. Si stacca la testa perché tossica, poi si consuma questo vermone grasso e grosso quanto l’indice della mano,
Il sapore ?
Crudo, sa di patata, terra, pop corn. Mangiato cotto ai carboni come usa adesso, cambia totalmente. Sa di tuorlo d’uovo, gamberetto.
Quindi hai chiuso gli occhi e mandato giù?
Macché, guardavo negli occhi l’aborigena, eravamo seduti ai piedi di un albero di acacia tra le cui radici si trovano questi vermoni.
Tanta curiosità e tanto coraggio da parte tua.
Beh, mi sono sentito così onorato che lei volesse condividere con me non solo il vermone ma una parte di quella cultura millenaria, “delek” nella loro lingua, wìtchetty grub in inglese. Altro momento memorabile è stato andare con i giovani mauritiani di notte nella foresta a caccia di fruit bats, i pipistrelli che si cibano solo di frutta, poi la nonna ce li ha cucinati in padella secondo la loro tradizione e tutti insieme abbiamo onorato la sacralità della tavola. Nutrendosi di litchi, mango e banane la loro carne è tenerissima e molto dolce.
Altri cibi fuori dai nostri canoni?
Tanti, dal cuore di orso in Svezia, all’armadillo in Costa Rica , alle hormigas culonas (traduzione facilmente intuibile, ndr) in Colombia, al balut delle Filippine. Proprio a Manila ho assaggiato questo cibo di strada molto diffuso in tutto il sud est asiatico: uovo di anatra, o di oca, fecondato e bollito con dentro l’embrione quasi formato al limite del piumaggio.
Barbarie, si direbbe.
No affatto, lì è una cosa assolutamente normale ed è questo che noi vogliamo mostrare: ciò che è normalità altrove nel mondo da sempre, e che a noi può apparire inconcepibile. Nella consistenza il balut ricorda il foie gras, rompi il guscio pezzo pezzo cominciando dal top, aggiungi una goccina di aceto, pizzico di sale e lo mangiucchi, ha un sapore intenso. Chiaro che si tratta di un modo per entrare nella cultura edibile di quel luogo, di quella gente. Ma chi storcerebbe il naso facendo un passo indietro davanti a un fatto di cultura?.
Mai tentennamenti e sempre al gioco, dunque.
È così , anche se mi ha fatto un po’ senso bere una bevanda masticata e fermentata con la saliva dai nativi dell’Amazzonia peruviana.
Il posto dove torneresti subito?
Cuba, ci vivrei. Li ho fatto mia tesi di laurea sull’antropologia del cibo , ho vissuto tre mesi a L’Avana in famiglia in uno dei quartieri più poveri e ho potuto veramente apprezzare l’essenza di quel posto. Per me il paese lo fanno le persone, e i cubani sono meravigliosi. Mi sono innamorato di loro e di Cuba per mille motivi , il sorriso che mai li abbandona, la musica, il rum, la bellezza diffusa. Non è stata la stessa cosa in Venezuela, Colombia, Messico. A Cuba sono tornato otto volte.
Due anni di fermo per pandemia, come te la sei cavata?
Ho sofferto come tutti all’inizio, poi mi son messo l’animo in pace, sono stato molto razionale e ne ho approfittato per rivivere appieno il mio Abruzzo, mi sono consolato facendo trekking sulle vette di Maiella e Gran Sasso, ho cercato rifugio e benessere nella montagna, e nel vino abruzzese ovviamente.
Nuove modalità per viaggi più green. Consigli?
Fermo restando l’aereo quando non se ne può fare a meno, giunto sul posto mi muovo il più possibile in bicicletta, la uso per allenarmi e anche per praticare un turismo lento, leggero. In Ungheria ad esempio ho preso parte a un press tour interamente in bicicletta, in Danimarca lo stesso. Nel mio caso potrei sembrare il contrario, ossia lontano dalla nuova sensibilità animalista e ambientalista, in realtà cerco di essere green anche nelle scelte enogastronomiche. Scelgo cosa mangiare in base a un dato periodo dell’anno, prediligo il prodotto locale anche nel caso della carne, è un modo di impattare meno sull’ambiente e un segno di rispetto, mi confronto con contadini , allevatori, cacciatori del luogo. Una consapevolezza che deve sempre accompagnarci.
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