RAIMONDO TIBERIO, IL SALVADOR DALÌ AQUILANO DELLA MATERIA: “L’ARTE È ANARCHIA”

L’AQUILA – È un battitore libero “anarchico” nello spirito, un artista “bohémien” che non ama le definizioni per antonomasia e nemmeno le spiegazioni precostituite perché creano confini alla sua arte “metafisica” fatta di “materia e cuore, libertà e caos”.
L’artista Raimondo Tiberio, il Salvador Dalì aquilano della materia, 68 anni nel giorno di San Valentino, pittore, scultore, disegnatore, artigiano del legno, del ferro e tanto altro ancora, non è un personaggio facile da raccontare, bisognerebbe viverlo per capirne le pittoresche sfumature caratteriali, il suo approccio stravagante e anticonvenzionale alla vita e all’arte, lontano anni luce da qualsiasi stereotipo.
Per lui parole come social, marketing e promozione non esistono perché a parlare sono le emozioni e la filosofia delle sue opere surrealiste, ma non si può parlare delle sue opere senza prima parlare di lui.
“Sono un fossile” dice in riferimento all’era digitale, mentre ci accoglie nella sua affascinante bottega in via Ulisse Nurzia, un luogo tutto da scoprire che trasuda arte e passione in ogni angolo, da oltre trenta anni.
Un vivacissimo caos dove niente è in ordine ma tutto ha un senso, in un ambiente caldo e accogliente, lontanissimo da contesti patinati, impomatati e tirati a lucido. Il fuoco scoppiettante del caminetto di pietra con le poltrone di fronte, il fumo di sigaretta che volteggia nell’aria tra una scultura e un’opera pittorica, i numerosi materiali, dalla carta al rame, dalla pietra al ferro, dal vetro alla ceramica, le sculture di legno, le tele e poi colori, pennelli, libri, appunti, chi entra e chi esce, opere in corso di realizzazione e altre già plasmate dall’ispirazione, perché nell’arte di Raimondo non c’è nessuna premeditazione.
“Quando la materia chiama io rispondo. Quando comincio a creare non immagino ancora dove mi porteranno le mani, la materia, le tecniche antiche di lavorazione che utilizzo. Io seguo quello che mi detta il cuore in un rapporto quasi viscerale con l’elemento materico”, dice a Virtù Quotidiane mentre guarda con orgoglio una “giovane talentuosa” che dipinge nella sua bottega, un’immagine romantica che sembra riportarci indietro nel tempo.
Un’arte libera la sua, che disconosce il possesso e senza “scopo di lucro”, non sempre almeno “perché se lo fai unicamente per profitto annienti l’ispirazione, la poesia. L’artista è un’astrazione, un’emozione, l’artista è il gesto d’arte, il magnetismo che attrae chi osserva l’opera” afferma ricordando il suo essere sessantottino negli ideali di libertà, contro ogni forma di pregiudizio e conformismo.
Il portone con le effigi in rilievo di rame della Cattedrale di San Massimo, il Duomo dell’Aquila, l’ha fatto lui quando non aveva ancora trent’anni, utilizzando una tecnica molto antica di lavorazione del basso rilievo, ma non parlategli di firma e quando gli chiediamo il motivo risponde così:
“Non firmo più le mie opere da quasi vent’anni perché, attraverso un percorso introspettivo, filosofico, personale, fatto di dubbi, domande, risposte, punti e virgole, ho capito che la firma è solo un attestato di possesso, di proprietà. Il possesso con le emozioni e l’arte non c’entra nulla, l’opera una volta creata appartiene al mondo che la osserva, che ne coglie la spiritualità, l’energia”.
Per questo le sue opere ama chiamarle “prefazioni” dalle quali non si può non andare oltre. Un personaggio straordinario, fuori dal comune, filosofico, un profondo pensatore.
“La mia curiosità verso la materia – racconta – , verso ogni cosa che potesse essere in qualche modo trasformata, nasce da tempo immemore”.
Un percorso evolutivo che nasce da lontano, intenso, quello di Raimondo che da bambino, nel cortile della sua abitazione, nei pressi di Piazzale Paoli, andava alla ricerca di materiali da scolpire con arnesi di fortuna, mentre tutti gli altri infanti giocavano semplicemente a pallone. Da giovanissimo, per essere indipendente e seguire gli studi, comincia a lavorare il metallo nella nota bottega di Dora Arduini che realizzava utensili domestici.
Crescendo con l’irresistibile vocazione per l’arte, decide di mettere su la sua bottega artigiana. I suoi lavori hanno oltrepassato i confini nazionali, tra mostre collettive di artisti internazionali e lavori privati. Raimondo ha realizzato importanti lavori in Arabia Saudita, un altorilievo di ceramica lungo diciotto metri per due metri di altezza per un governatore di Riad, la capitale del regno saudita, per il ministero della difesa di Baghdad, in Iraq, un portale in rame a rilievo, anti bazzoka ma finemente istoriato con dettagli preziosi della cultura assiro-babilonese, solo per citare alcune delle sue opere apprezzate nel mondo.
Una vita densa di esperienze ma scandita anche da profonde lacerazioni, come la perdita prematura dell’unica figlia, appena trentenne, sotto le macerie del terremoto del 2009 e della sua compagna, venuta a mancare solo qualche anno dopo.
“Questa è la mia dimensione, la mia bottega, non potrebbe esistere altro appellativo per quella che anticamente era una stalla e stalla è rimasta”, nel senso più nobile del termine ci spiega mentre ricorda un suo recensore che l’aveva definita un atelier dell’arte “ancora mi vengono i brividi”, dice sorridendo, con la sigaretta sempre accesa e la bottega sempre aperta, ma non per tutti, o comunque solo per persone dalle larghe vedute “alcuni resisterebbero a malapena cinque minuti qui dentro, una selezione naturale”.
Il rapporto con la realtà provinciale cittadina è “di indifferenza – rivela – mi dicono che si parla di me in tanti salotti aquilani ma il mio spirito va oltre. L’arte è un’erba spontanea e non da giardino” come certi stili di vita del resto.
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