Vendemmia in montagna: a Lucoli la più alta d’Abruzzo e la prima del vitigno sardo Semidano
LUCOLI – Con la raccolta del Pinot nero è iniziata la vendemmia in quello che si candida ad essere il vigneto più alto d’Abruzzo a quota mille metri nel comune di Lucoli (L’Aquila). Lo stesso nel quale si coltiva il Semidano, vitigno sardo a bacca bianca ritrovato qui da Francesco D’Asaro, architetto romano che ha comprato la tenuta una quarantina d’anni fa ma solo di recente ha deciso di impiantare un vigneto e per preparare il terreno ha scoperto una serie di vecchi vitigni, alcuni dei quali estinti.
E non sembra essere un caso che la località si chiama Le Vignole: “Durante la pandemia ho voluto ricostruire la storia partendo dal toponimo, che si deve al fatto che questa è la vigna che dipendeva dall’Abbazia di San Giovanni in cui si coltivava la vite già nell’ottavo secolo. Negli ultimi sessant’anni la coltivazione si è persa ma ripulendo il terreno abbiamo ritrovato ben otto vitigni autoctoni provenienti da altre regioni ma legate all’Abruzzo dalla transumanza tra cui appunto il Semidano, su cui abbiamo puntato sostenuti dalla Regione che ci ha permesso di fare questo campo sperimentale”, racconta D’Asaro.
Al centro della vigna c’è anche un piccolo edificio in pietra che contiene una vasca per spremere l’uva, ulteriore dimostrazione della presenza di una tradizione vinicola ultrasecolare presente nella zona.
“Probabilmente risale al 1500 e per le dimensioni che avevano gli appezzamenti, di circa mille metri per ciascuna famiglia, era la struttura comune in cui veniva vinificato un unico vino”, spiega l’architetto, “attraverso tante varietà che magari ognuno, attraverso la transumanza o grazie al fatto che molti da qui in inverno andavano a fare i mastri casari nelle Marche, in Sardegna, nel basso Lazio o in Puglia, riportava da altre regioni”.
La vigna e la vinificazione sono affidate all’enologo Paolo Simoni, che del Pinot nero in provincia dell’Aquila è un pioniere con la sua cantina Castelsimoni: “Le difficoltà sono tante, c’è una recinsione ma la fauna selvatica ci fa perdere molto prodotto. Il vantaggio però di avere un’uva che viene fuori da escursioni termiche importanti, in mezzo alla natura dove non esiste l’inquinamento è impagabile ed è giusto che ci siano maggiori riconoscimenti nei confronti della viticoltura eroica, che si fa sulle isole o in montagna”, dice.
“Ci sarebbe bisogno di un riconoscimento che permetta al consumatore di identificare subito un vino di montagna, come questo, frutto di vigneti su pendii ripidi – qui di circa il 70 per cento – raccolte manuali e difficoltà straordinarie”, ha aggiunto. “Una mano a noi produttori la sta tendendo il Cervim, il centro di ricerca, studi e valorizzazione per la viticoltura montana, ma occorre dare il giusto peso a chi profonde sforzi in questa direzione”.
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